' I « GRANDI RE » E L ISTORIOGRAFIA MODERNA 127 .I L' istoriografia può arrivare a ridurre l' importanza degli Eroi, seguendo due vie. O a}?profondendo l'esame degli Eroi, sì da vedere l'impossibilità di -spiegare mediante la loro azione determinati avvenimenti, o approfondendo l' esame degli avvenimenti, sì da vedere che l'azione degli Eroi non ne fu che un elemento secondario. Non si tratta, naturalmente, di distinti campi di esame, ma di successivi momenti dell'indagine. Quanto alla prima via, gli ~stacoli più comuni sono rappresentati dal fatto che primi a scrivere dei re, sono non gli storici, bensì i panegiristi, i quali aggiungono molta luce alla virtù e agli atti notevoli e lasciano in discreta penombra i difetti e i torti, e dal fatto che, anche in quei periodi nei quali l' istoriografia era sviluppata, la libertà di scrivere intorno ai re era limitata e condizionata. Si aggiunga la tendenza sentimentale a conservare le « grandi figure». Così la figura di Costantino non è più quella tradizionale, perchè Valla, Muratori, Gibbon, Gregorovius, Burkhard, ed altri l 'hanto sfrondata, ma ancora permangono in essa amplificazioni ed errori e questo perchè la croce palpitante nel labaro e l'armatura foggiata coi chiodi della Croce sono elementi poetici che sono più facilmente assimilati delle erudite critiche. Così è di molte leggende su Cesare, e tra queste quella dell'invocazione a Bruto: - Tu quoque, Brute fili mi! - che non è che un motivo sentimentale tratto dalla leggenda che fa Bruto figlio di Cesare. Anche Carlo Magno non è più il re santo e favoloso delle canzoni di gesta, ma gli spioventi baffi alla franca rimangono mutati nelle imagini di lui pubblicate nei testi scolastici in una barba fluente, il taglio robusto della sua figura rimane mutato in gigantesco, sì che quasi tutti conservano di Carlo Magno l'idea acquisita nelle scuole elementari ; e questa idea rende possibile l'accettazioni delle amplificazioni che anche nelle scuole medie si fa di lui; come legislatore e come guerriero. La storia di molte famiglie reali, come quella degli Absburgo, si presta a dimostrare che i re quanto più sono vicini a noi, perdono l'aureola di gloria che i cortigiani, gli storici aulici ed il popolino ha loro data. Il famoso Carlo V si rivela ali' indagine storica irascibile, ostinato, melanconico, epilettico, quasi nano e balbuziente. Si conoscono le sue manie, come quella di farsi fare i funerali da vivo. E non c'è imperatore, re, principe, del quale l'istoriografia non metta in luce qualche anomalia e qualche deficienza. Come è tramontato il periodo dei Santi, così tramonta il periodo dei grandi re. Ma è un lento crepuscolo. Alla caduta di un regime si conosce il re. Così è stato di Luigi XVI, di Guglielmo Il, di Nicola Il. Ma alla morte di un re, quando il regime gli sopravvive, l' amplificazione della sua persona raggiunge il massimo. A questo proposito, ricorderò quello che un diplomatico e storiografo piemontese, Ludovico Sauli D'lgliano, scriveva nelle sue memorie: « Pur troppo la storia non fu mai coltivata in Piemonte colla nobile schiettezza che 1a rende maestra e guida sicura delle operazioni di coloro che si travagliano nel maneggio di pubblici affari. fu scritta a un dipresso sempre come la scrisse il padre delle nostre antiche memorie, il Guichenon, il quale ha bensì tessuto gli elogi, ma non si fece carico di delineare i genuini ritratti dei Principi di Savoia: un sentimento di Biblioteca Gino Bianco /
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