La Critica politica - anno VI - n. 3 - marzo 1926

UN CARTEGGIO INEDITO DEI FRATELLI RUFFINI 123~ lettera del 25 morente mi dà gioia e pena. Gioia perchè allorquando i miei occhi si fissano sulle linee tracciate dalla tua mano, e il mio cuore sr commuove· fortemente ai sensi amorosi, santi, materni,. insomma, che tu sola sai tradurre, tu sola, io scordo l'amarissima separazione e la distanza dei luoghi si raccorcia. nella mia mente. Ma tra quella piena d'affetto trapela un dolore cupo, senza tempo, dilaniante ; ed ecco che mi affanna. O madre mia, posso io scrivere la parola della consolazione? Ormai abbiamo scordato di che colori si dipinga la gioia, ormai nell'anima nostra non c'è più dolce, tutto tragico, tutto fiele. Pure abbiamo dentro di noi che è nostro ancora, che nessuno ci può torre, qualche cosa di santo, di grande, direi quasi d'immortale: una coscienza pura ed un amore senza confine. La prima 'Come un usbergo impenetrabile deve difenderci da tutte le offese, deve spuntare gli strali della fortuna; il secondo deve aprire i nostri petti alla speran~a, deve mantenere in noi la fede e la costanza, rompere la solitudine, in cui i fati vogliono costringerci, solcare come un raggio lu-- nare, il buio degli spiriti nostri. « Chi noi fa, manca al patto segnato dalle anime nostre : offusca il nitore della propria coscienza, tradisce il più santo degli amori: il materno I il figliale! più santo in noi, perchè la virtù, il sacrificio, la sciagura, il martirio l'hanno affinato, come il fuoco l'oro. Amare! Essere- amati! la madre, i figli, separati. corporeamente·, più stretti, confusi insieme, immedesimati colle anime. V'è tanta sublimità in questa idea da ridere sprezzantemente sugli uomini che si credono potenti a ogni cosa. Potranno mai spegnere essi la sacra fiammà che custodiamo e custodiremo coi nostri petti? potranno mai interrompere questa corrÌspondenza. soave, mistica, celeste degli animi nostri?» {lettera di Agostino del 30 novembre del 1833). E con l'affetto alla madre si confonde e si mescola quello verso la patria lontana : « Quante volte io mi siedo tristamente presso la mia finestra e contemplo queste Alpi con le braccia incrociate sul petto. Eccovi picchi maestosi, rocce eh~ sembrate voler minacciare il cielo con la vostra cresta di ghiaccio centenario. Eccovi, e dietro a voi la bella, la ridente, la magnifica Italia, l'Eden in cui gli angelli dovrebbero· abitare e dove i demoni soggiornano » {lettera di Agostino del 6 luglio 1834). La vita degli esuli era triste e difficile, il pensiero per la famiglia lontana procurava sofferenze indicibili: « È la notte principalmente che io soffro di più. ~a mia immaginazione si monta: essa coordina spietatamente, con una esattezza spaventevole le crisi, i più piccoli incidenti, i minimi gemiti. Il ricordo del passato si riproduce in me in tutta la sua realtà ; io ricordo quegli • istanti solenni nei quali credevo di avervi perduta. lo rivedo ogni cosa, la camera, la posizione dei mobili, le parole, gli sguardi, persino i sospiri. E tuttavia v'è una grande consolazione in tutti questi ricordi. Dio ha avuto pietà di me e vi ha reso il mio amore quasi per un miracolo. » {Lettera di Giovanni del 18 ottobre 1834 nella quale allude al suo mancato arresto dovuto ad un fortunato equivoco). Tutto il conforto era nella corrispondenza con i propri cari ma quale tormento quando le notizie dall'Italia tardavano a venire ! : « La mia vita è tra le mani del primo corriere d'Italia; io non conto per nulla le torture che -Biblioteca Gino Bianco

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