La Critica politica - anno VI - n. 1 - gennaio 1926

34 LA CRITICA POLITICA a concretizzarsi nella prassi è effetto della povertà dell'anima italiana, rimasta medioevale e corrotta anche dopo il medioevo. VII. Ora tale posizione durante gli anni acquista forma decisa e si traduce nel· l'equivoco « moderato » • Nei primi tempi l'unità sembra utopia e si spera solo nella indipendenza e nella federazione. Cessati i bollori del subitaneo entusiasmo , la realtà opera potentemente come una doccia sul braciere. Onde le revisioni sorgono e con le revisioni la volontà del compromesso e della conciliazione. Le coscienze son prive di virilità e perciò paventano l'intransigenza, non sanno innalzarsi a visioni che abbiano il dominio di vasti orizzonti. Manca sopràtutto qualunque forma di adesione critica alla Storia capace di fare intendere la ineluttabilità di certi contrasti. Nella inserzione, nella dialettica della vita europea continuano sempre a manifestarsi decisamente i motivi di storia italiana già illustrati. Il moderatismo per questo è la forma che assume nel secolo scorso la inqualificabile debolezza della nostra vita. Le impostazioni radicali vengono ripudiate. La prassi rivoluzionaria avversata. Si cerca di blandire sempre più il · popolo per farlo sperare nelle riforme e nella iniziativa dei Re. Il neoguelfismo, I' albertismo, ecc. sono effetto e conseguenza di questo stato di cose. Non si può oggi pensare senza sarcasmo al delirio verso Pio IX. L'attesa messianica del miracolo, la speranza nell'opera altrui, l'assenza di ogni discernimento sufficiente a fare intendere l'assurdo di un papa liberale sul serio, sono fatti che attestano la continuazione della profonda immaturità del nostro 'popolo. La democrazia che in seguito nasce è così una democrazia sui generis. Ineducata alla lotta e impotente ad agire riplasmando la realtà, essa è stata l'espressione tipica della diseducazione e della incapacità. Ogni qualvolta un contrasto è affiorato sulle acque stagnanti della vita nazionale il suo compito è stato quello di allontanarlo e di stornarlo. L.a profonda antipatia verso fytazzini ne costituisce la proya sufficiente. Il pensiero del genovese è vero che risente della natura della terra di origine poichè si attua come reazione, si mantiene nei campi della fede senza essere capace di scendere a considerazioni realistiche ma esso rovescia il mondo di codesta democrazia e pone il problema dell'unità non solo come quistione geografica ma sopratutto come quistione di rinnovamento popolare. V aie a dire : Movimento che sgorghi e prorompa spontaneo dal formarsi di un'anima nazionale. Quindi avrebbe dovuto avere l'adesione e la collaborazione dei patrioti se altre fossero state le condizioni dell'epoca. Invece la scuola moderata vede nell' apostolo l'anticristo dato che paventa ogni impostazione riv0luzionaria. La diseducazione tradizionale la spinge a vagheggiare l'Arcadia - cioè : l'unione di papa, principi e popolo - e· a fuggire le iniziative audaci. Se non fosse sorto Cavour - che non si può inquadrare in nessuna scuola per la sua azione demiurgica - il mo~eratismo di certo niente avrebbe concluso di buono, non avrebbe saputo trarre l'Italia dall'abisso e sollevarla alla luce dei tempi nuovi. Biblioteca Gino Bianco ,,, I

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