La Critica politica - anno V - n. 8-9 - ago.-set. 1925

324 LA CRITICA POLITICA albergo della capitale. Persino la Camera di Commercio di Berlino tenne una speciale seduta del suo Consiglio e diede un banchetto in nostro onore : fatto eccezionalissimo - come ci dissero - nella storia di quella importante istituzione. Che in tutto ciò debba vedersi una manifestazione di particolare simpatia per l'Italia e per gl' italiani ne dubito, per quanto l'ottimo Stein, in uno dei numerosi discorsi nei quali si presentava quasi in veste di nostro tutore, abbia auspicato il ritorno ai bei tempi della politica estera crispina e ad una futura alleanza tra i due paesi. M'è sembrato piuttosto che ci si volesse dare la sensazione che la Germania è sempre, nella vita europea, un colosso del quale è meglio essere amici che nemici. E ciò senza parere, con umiltà di ·linguaggio, con qualche più o meno velata recriminazione sul passato, ma anche con ev,identi manifestazioni d'orgoglio. La Germania coltiva il suo sogno imperiale. La sconfitta non l'ha mutata. L'ha semplicemente esasperata. Assai vi hanno contribuito gli errori della Intesa, a guerra finita. Essi hanno impedito che la Germania meditasse sugli errori propri e hanno fatto si che lo spirito tedesco, invece di orientarsi verso un ideale di vita pacifica, di solidarietà e di reciprocità internazionale, si volgesse decisamente verso il nazionalismo inteso come volontà di rivincita, come riparazione di torti veri e presunti, e come riconquista delle posizioni politiche primitive. Il programma nazionalista dei tedeschi va anzi più oltre. È proprio di questi giorni una fervida propaganda per l'annessione dell'Austria alla Germania, con la partecipazione attiva di elementi responsabili del Reichstag. lo non ho assistito a nessuna manifestazione pangermanista. Ma non ho visto nemmeno nulla che mi abbia detto che nel regime tedesco c' è qualche cosa di sostanzialmente mutato. Manca, della vecchia Germania, solo l'apparato militare. Nelle vie delle città soldati in divisa o non se ne vedono o se ne vedono pochi. Fermatevi, però, ad osservare coloro che vi stanno accanto e coloro che passano: l'andatura è militare. La Repubblica c'è, ma non la vedete. Nè la sentite nominare, mai. È una parola che nel vocabolario tedesco non esisteva e non esiste. Vedete, invece, i segni e i simboli del vecchio regime. In Italia non muta una amministrazione comunale senza che mutino almeno i nomi delle strade ; se poi è un Ministero che cambia è addirittura una rivoluzione, se non nel sistema, nei simboli che s' inseriscono per ogni dove. In Germania nulla di ciò, e tutto come prima. II Kaiser - che è in esilio da sei anni - lo trovate per ogni dove: continua a dare nome alle vie, alle piazze, agli alberghi; lo vedete effigiato negli uffici pubblici, nelle sale delle birrerie, in quelle dei caffè, nei teatri e.... nelle abitazioni private. Dove non è il nome, è l'effige dell'imperatore. Perchè? come mai? Chiedetene e vi risponderanno - maliziosamente •- che a toglierlo via non ci hanno pensato o che n'è mancato il tempo o la possibilità. Qualcuno, più maliziosamente ancora, ad un accenno nostro per un grande quadro dell'imperatore campeggiante in fondo a un salone di. ricevimento, rispose che non esisteva ancora in Germania una scala tanto alta per salire fin lassù. È passata la rivoluzione. Sono passati i comunisti. Sono passati i sociali democratici. Ma il Kaiser è restato. Ora alla Presidenza del Reich c'è Hindenburg. Ed è proprio del giorno avanti- al nostro arrivo a Berlino .il decreto con cui, colui che in guerra « fu il servo fedele dell' imperatore » - per usare una espressione contenuta in un discorso di un alto funzionario dello Stato - autorizza gli ex militari ad indossare le divise dell'Impero. II fatto è politicamente tanto siBibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==