La Critica politica - anno V - n. 4 - aprile 1925

178 LA CRITICA POLITICA ci pt ed ai metodi del passato. Ad eccezione degli ufficia!i inferiori tutto il resto dell'ufficialità ha formato la propria cultura militare e le proprie abitudini professionali avanti la guerra, nè ha saputo spogliarsene. Persino il sistema base della istruzione militare è rimasto quello della guerra manovrata in campo aperto. Lo stesso si dica per le formazioni. E qui fa cci amo punto per non sfoggi are una competenza militare che abbiamo dichiarato, preventivamente, di non avere. Quel che abbiamo detto è solo per spiegare come le ragioni tecniche colle quali i grossi gallonati dell'esercito hanno combattuto la riforma dell'ordinamento dell'esercito proposta dal ministro generale Di Gior~io, non· ci persuadono. Tecnicamente crediamo che la ragione fosse dalla parte del ministro Di Giorgio. Con ciò non diciamo che il suo progetto sia ottimo o anche buono. Crediamo però che vi si riflettano uno spirito di modernità e un senso realistico delle esigenze dei tempi che nelle critiche tecniche dei suoi oppositori non ci è sembrato di avvertire. (Vediamo ora, qualche tempo dopo aver scritto, che questa è pure l'opinione del colonello Angelo Gatti, autorevole critico militare del çorriere della Sera). Mettere l'esercito in condizioni di sufficiente elasticità per rispondere alle esigenze di una guerra moderna e allargare l'organizzazione militare fi- , no a farne una cosa sola con tutta la nazione e ciò col minimo d' immobilizzazione di uomini nelle caserme, sono due necessità che il generale Di Giorgio ha intanto mostra_to di sentire. Ed è qualche cosa. È politicamente, invece, che la riforma Di Giorgio non può essere açcettata : per il momento in cui è stata presentata, perchè riduce ai minimi Biblioteca Gino Bianco termini la forza mobilitata dell'esercito nazionale mentre si tiene in piena efficenza una milizia di parte. Riforme dell'ordinamento militare in modo da ottenere col minimo di dispendio e di sacrifico collettivo il massimo di forza e di capacità miIita~e della nazione - e le proposte Di Giorgio potrebbero essere intese come un avviamento, come un inizio; non come una soluzione - possono ·farsi solo là dove le istituzioni politiche sono il presidio accettato e riconosciuto dei diritti di tutti, non dove le istituzioni stesse stanno subendo, per volontà di chi ne ha in mano il timone, una trasformazione della quale non è possibile oggi stabilire la portata; non dove la coscienza nazionale è divisa e un partito solo ha tutti i diritti e gli altri partiti nessuno. Le preoccupazioni di fronte alle proposte Di Giorgio sorgono non per vere ragioni tecniche militari, ma per ragioni politiche: dell'ambiente e della situazione di fatto in cui dovrebbero essere applicate. E cioè, anche dal punto di vista militare, per fare che tutta la nazione sia un esercito pronto alla difesa in ogni momento, occorre che lo Stato non sia l'oggetto delle contese e delle cupidigie delle parti, ma la somma di tutte le energie e di tutti i consensi, che in esso si trovino allo stesso modo garantiti tutti i diritti e tutte le libertà. Il problema della Nazione Armata è, insomma, pur'esso un problema di libertà. L'opinione del Senato. Il Senato ha visto il problema in modo diverso. I generali hanno combattuto aspramente la riforma di Giorgio per ragioni tecniche. E per l'occasione abbiamo potuto sentire ripetere dal generale Giardino i vecchi luoghi comuni del militarismo pro-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==