La Critica politica - anno V - n. 4 - aprile 1925

166 LA CRITICA POLITICA realtà materiale - ordinaria amministrazione - e non una realtà vissuta, sentita dallo spirito il quale la crea sempre superandola. Il capitalismo perciò si concretizzò come dilettantismo e schiavismo, preoccupato più di ottenere i favori e la protezione dello Stato che di portare ad esso il contributo della propria iniziativa, e il movimento operaio. germinò non con il proposito - sia pure oscuro e latente - di maturarsi e prepararsi. mediante la sofferenza alla dignità di classe dirigente ma con quello di limitare le proprie condizioni 1nateriali e tirare avanti alla meglio. La storia del nazio'- nalismo, in proposito, è storia edificante cos\ come pure è edificante seguire tutta quella letteratura proletaria che nei cappelli a larghe falde e nelle cravatte svolazzç1nti vedeva i segni del rivoluzionarismo. Ecco. Gli industriali si attaccavano allo Stato, lo facevano deificare dai loro pseudo-filos_ofi. Gli scrittori proletart negavano lo Stato ed esaltavano l'internazionale, le frontiere distrutte, il mondo senza lotte, pacificato ad opera della taumaturgica rivoluzione. Ora nessuna delle due parti certo si accorgeva che lo Stato non esisteva 'in effetti, e che esso poteva sussistere non a favorire l'uno contro l'altro, ma solo quale realtà scaturente, tra l'altro, dal loro urto perchè quegli sforzi erano sforzi di teorizzamento della prassi, destinati a renderla definitiva in uno schema ideale, in una particolare intuizione della vita. E ciò non meravigli. V'è nel Crepuscolo dei filosofi di Papini una lucida osservazione a proposito di Nietzsche che, crediamo, si possa applicare senza errore al nostro discorso. Dice il fiorentino èhe questi esaltava la forza perchè essendo un debole amava proiettare il suo io mancato al di fuori di se. Esatto. Da noi le ideologie socialiste - per venire all'argomento - erano vaghe ed astratte, prodotto più di fantasia e di eccitazione che di elaborazione, rappresentavano miti mancati perchè effetti di reazioni e non di coscienza, di una causa che si può fermare intuitivamente con la parola infantilismo. Il principe Amleto - se non erriamo nel ricordo - avrebbe detto ancora una volta: parole, parole e parole l Rifacciamoci per chiarezza a concetti storici. Le rivoluzioni - a parte le barricàte, i martiri e tutto il necessairé per la messa in scena di qualche operetta - nascono quando si ha il senso dell'azione, quando le contingenze determinano questo senso, quando que'sto senso nasce ad opera di una educazione che chiede la sua sanzione e si afferma. In Italia ov'era tutto ciò? Le masse chiedevano invece protezione e questa protezione non si creavano con sforzo autonomo e poichè erano sempre in bisogno di un elemento trascendente deificavano parole senza imparare la virtù del sacrifizio e dell'eroismo e senza apprendere che non bisogna aspettare il messia, ma far tutto da se. Non fu forse lo stesso Marx a dire " noi siamo bassi perchè siamo in ginocchio. Alziamoci " ? Ma crediamo sia vano tener tali discorsi e tornare alla cronaca dicendo subito che fu per effetto di tali condizioni che si impose la dittatura Giolitti essendo pure tacitamente accettata dalle masse. È concetto ormai acquisito che ogni governo nasce dal clima storico dell'epoca. Allorchè una Nazione è vigorosa, rappresenta una realtà viva e vitale, sono i partiti quelli che si assumono la responsabilità_ del potere. Quando,· invece, i partiti sono in fasce e impreparati e tali che rispecchiano solo minoranze mentre la maggioranza rimane· assente, la dittatura si rende necessaria. Perciò cosl come la monarchia di Luigi Filippo e la dittatura di Napoleone il piccolo furono i risultati cui Biblioteca Gino Bianco

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