La Critica politica - anno V - n. 4 - aprile 1925

142 LA CRITICA POLITICA scono a quel che i programmi hanno rappresentato e significato sin qui hanno ragione. Non è ciò che si chiede alle opposizioni. Si chiede che si diano una azione che sia un programma e un programma che sia azione. E sarebbe: passare dal vago e indeterminato al concreto, da_lle affermazioni ideali alle soluzioni pratiche, dall'avvenirismo alla realtà. È la realtà stessa che impone ai partiti di scendere sul suo terreno·. E tuttavia essa ha avuto finora una ben scarsa influenza nel loro atteggiamento e nel loro spirito. Le deficienze e le incertezze lamentate da cosa dipendono? In gran parte dalle difficoltà che le posizioni mentali e dottrinali già formate, l'attaccamento alla consuetudine e la preoccupazione di ciascun aggruppamento di non perdere la propria individualità creano, quasi automaticamente, ad una azione purchessia. Il passato trattiene le opposizioni più di quel che il presente non le sospinga: è come una prigione in cui le energie si perdono e le volontà si attuti- .scono. Diffidenza istintiva .verso i proprt vicini e preoccupazione per , ,ogni. novità, sono due stati d'animo caratteristici di questo periodo della nostra vita politica. E per ciò •si pensa che precisare, fissare gli obbiettivi, delimitare le posizioni, qualificare gli elementi sociali sui quali s' intende poggiare sia politicamente dannoso. Ne ebbi una prova quando, mesi addietro, sottoposi a un certo numero di autorevoli personaggi dei vari partiti di opposizione qualche quesito in merito ad alcuni pro bi emi vivi e immediati posti in essere dal fascismo. Per quanto insistessi nessuno degli interpellati volle rispondere nel merito ; qualcuno, molto gentilmente, mi spiegò anche il perchè. Degli interpellati due mi risposero entrando nel merito, ma erano appunto quei soli che di politica non si occupassero in modo specifico. Quando io, dunque, mi preoccupo del programma, intendo riferirmi alle sole questioni che sono immediate e presenti. È inutile battagliare I sulle parole. Vi sono posizioni tattiche che una volta prese impongono di andare alle conseguenze. La manifestazione secessionista dell'Aventino era una di queste. Fin da quel momento si poneva per i gruppi che vi partecipavano il problema se il sistema parlamentare - dopo il 6 aprile 1924, anzi dopo il 28 ottobre del 1922 - offrisse ancora delle possibilità per un mutamento della situazione politica interna. I deputati che sortivano dall'aula - col dichiarato proposito, allora, di non più rientrarvi - intendevano pure dire che nel Parlamento e col Parlamento nulla restava da fare? Allora sembrò cosa pacifica; di fatto il problema nessuno se lo era posto seriamente. E così i secessionisti restarono con un piede sull'Aventino e coll'altro nei corridoi di Montecitorio, posizione incomoda quanto mai per muoversi. Oggi ancora la questione da decidere è se si deve operare politicamente dentro o fuori del Parlamento, se cioè il Parlamento nella vita costituzion~le dello Stato abbia sempre un valore e si pqssa in esso e attaverso esso determinare una situazione nuova. Ed è una questione Biblioteca Gino Bianco

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