La Critica politica - anno V - n. 3 - marzo 1925

130 LA CRITICA POLITICA lutazione di alcune situazioni, mi trovai pure diviso da lui. Nè ne dubitò mai G. Conti che pur gli fu aspro, qualche volta. Nei dissensi con lui c'era anzi per noi, che gli eravamo stati discepoli e collaboratori in un periodo indimenticabile, l'accoramento del nostro affetto e della nostra stima. Su un punto, però, non dissentimmo mai I Sulla valutazione di q~ei problemi che formano la premessa programmatica di questa rivista. Comandini fu un regionale. E nel senso migliore. La famiglia, il comune, la regione, la nazione : · il suo affetto e la sua attività si manifestavano in quest'ordine. In ciò era mazziniano, ma per finire in Cattaneo, come Alberto Mario, lo scrittore repubblicano che lo aveva colpito di più e al quale pìù si sentiva vicino. Benchè vi abitasse, Roma lo interessava molto relativamente: il centro della sua vita era Cesena, in Romagna. All'aula di Montecitorio - per quanto vi avesse ottenuto indiscutibili successi e una posizione di primo ordine - preferiva le aule modeste e· quasi famigliari dei consessi amministrativi locali. Ed in esse egli deve aver provato le stesse soddisfazioni che l'artefice prova nella creazione della sua opera. Cosa egli non ha fatto di Cesena e per Cesena ? Un piccolo centro, Cesena, ma una Amministrazione solerte e impeccabile, scuole perfette (le migliori d' Italia), istit}-lzionisociali professionali e cooperative floridissime: un centro di vita, ~un esempio di ciò che si può e si deve fare. Localismo ? Ma un localismo che eleva il tenore della vita, che crea, che sviluppa qualità, che affina il senso di responsabilità, che serve la patria grande nel solo modo in cui la si può servire, sul serio. Il resto è rettorica. Quando non è peggio. Comandini aveva dato un esempio di cui andava orgoglioso. E aveva scoperto quel che molti « politicanti saputi » si ostinano a non voler capire, che basta cioè scuotere un momento la vita locale dalla apatia in cui intristisce perchè ne sorgano fuori, spontanee, risorse individuali inesauribili di energia, d' iniziativa e di capacità. Di qui la sua convinzione (tante volte affermata in scritti e discorsi) che il problema italiano è un problema di autonomie, di regionalismo. Quest' uomo che da trent'anni aveva fatto del Comune· la sua seconda casa - e che si partiva assai spesso da Roma e consumava due notti in treno per partecipare a una modesta seduta di Giunta - se ne vide un bel giorno strappare di mano l'Amministrazione. Volontà di popolo ? Niente affatto : il popolo di Cesena era orgoglioso della sua amministrazione. Diritto di conquista! Non credo che, nel 1919, l'aver perduto il mandato parlamentare gli sia costato molto. Ma sono sicuro che l'aver dovuto rinunciare all'amministrazione della sua Cesena deve averlo addolorato assai. Pensandovi, la sua morte, oggi, mi riesce maggiormente penosa. A Cesena, però, a ricevere e a rendere onore alla sua salma c'erano tutti, anche gli usurpatori. Alla famiglia, ai suoi concittadini rinnovo qui, con le mie, le condoglianze di « Critica Politica». - o. z. Biblioteca Gino Bianco

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