La Critica politica - anno V - n. 2 - febbraio 1925

/ DEMOCRAZIAMODERNA Il mio punto di vista è quindi ancne molto differente da quello del CaranoDonvito, che ritiene necessario fare opera di persuasione, di propaganda presso i proprietari perché cedano in affitto, in enfiteusi, a mezzadria, o addirittura vendano a piccoli lotti le terre ai contadini. La propaganda ha valore solo come incitamento a"a conquista, non come· mezzo di persuasione a concessioni. E la lotta contro il gruppo politico dovrà indirettamente condurre a transazioni nel campo economico. Certo, bisogna uscire dai chiusi circoli di intellettuali. Supposto che i gruppi di Rivoluzione Liberale e di Critica Politica si costituissero in ogni città di provincia e acquistassero forza politica, essi fatalmente si trasformerebbero in camarille democratiche se non cercassero di venire a contatto con i ceti agricoli, con le forze produttive del Mezzogiorno. Si tratta però di un lavoro difficile. Organizzare i contadini in sindacati di braccianti e in consorzi di piccoli produttori, fare intender loro l'importanza di alcune idee generali (autonomie locali, libertà doganale, sgravio sui tributi diretti), spingerli alla lotta contro i ceti dominanti, liberarli dalla mentalità municipalista con grandi convegni regionali, costituire -le leghe dei comuni, guidare la ribellione contro le prefetture, è tutto un programma da svolgere, ma che potrebbe trovare forti consensi se riscaldato dall'amore per la terra nativa, che è vivissimo nei contadini. Lavoro penoso, difficile senza dubbio, nel quale si avranno disillusioni, ma che merita di essere tentato, e che offrirà elementi di controllo intorno alle forze del Mezzogiorno capaci di agire autonomamente, p~r rovesciare comunque una situazione storica di completa paralisi. Per ottenere il 3uccesso, il movimento dovrebbe propagarsi come una vampata di passione, in modo da trascinare le plebi. Si debbono alla mancanza di una vita fantastica gli scarsi risultati dell'attività salveminiana che non sapeva uscire dal problemismo se non per cadere in campagne moraliste prive di finezza politica e di echi sentimentali. Che l'esigenza esista, ne sono prova i tentativi compiuti nell'anteguerra. Lo stesso sindacalismo napoletano, scismatico dalla organizzazione ufficiale, altro non era che un pretesto per ricercare nell'ambiente locale le risorse di una vita che non fosse semplice adesione a quanto veniva legiferato in Val Padana. Man- - cava soltanto, piccola cosa, il contatto con le popolazioni rurali per mettere in atto l'aspirazione degli scismatici napoletani ad una prassi di più profonda partecipazione alla vita del lavoro ; cosicchè la ribellione, contro una classe politica intermediaria e sfruttatrice del proletariato, fu opera appunto di intermediari ·e di politici; e valse semplicemente a varare le candidature Ciccotti, Lucci, Altobelli, Labriola, nei caotici quartieri popolari ancora memori delle ammuine seicentesche. Nel 1913, 1914, un'opera di penetrazione più_seria era stata fatta nella Puglia. Anche questa volta i movimenti autonomi si intitolavano sindacalisti, ed avevano per epicentro la ribelle camera del lavoro di Cerignola. Si può ricordare la vivace campagna fatta da Niccolò Fancello in Capitanata e Terra di Bari, a mezzo di comizi per volgarizzare l' idea liberista. E forse il sindacalismo, se non fosse scoppiata la guerra, avrebbe trovato il suo campo fertile di diffusione nel Mezzogiorno, a cui si sarebbe concesso come strumento di vita morale. La sua dottrina aristocratica ed eretiça non sarebbe stata un ostacolo in un ambiente economico depresso e a carattere precapitalistico come il Sud, allo stesso modo che sottili eresie religiose trovarono possibilità di propaganda e stabilità di vita fra· barbari, l'Arianesimo fra i Germani, il Monofisitismo fra gli Abissini. J Biblioteca Gino Bianco

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