AUDACIE E PENTIMENTI DI UNA POLITICA ESTERA 495 una politica irresoluta, tra gli errori del passato e il bisogno di rinnovazione e di vita dell' Europa, che è per essa condizione non solo di sviluppo economico ma di vita>. ·Le difficoltà di politica interna dell'Italia non sono cessate. La politica estera è in parte cambiata : in bene o in male ? Pareva sul serio che dovesse cambiare, ma non si sono verificati radicali cambiamenti. E nemmeno il tono è cambiato. L'episodio di Corfù è a parte, sta a se, è una brusca parentesi e segna la fase tipica del disorientamento fra le audacie e i pentimenti della politica estera fascista. Quando Mussolini giunse alla Consulta fu parere generale che qualche cosa di nuovo e di imprevisto doveva nascere; il caso Sforza ne fu il sintomo. Il nostro ambasciatore a Parigi che aveva indubbiamente preso sul serio le manifestazioni di Mussolini giornalista si aspettava una applicazione delle idee già conosciute da Mussolini ministro: Deve essere stata una bella sorpresa per l'ambasciatore Sforza quella frase del telegramma-richiamo di Mussolini in cui erano giudicate inopportune le dimissioni < prima di avere ufficialmente conosciuto le mie direttive di politica estera >. Sforza aveva creduto, chi sa perchè, di conoscerle già; ma, come abbiamo detto, la rivoluzione delle camicie nere che si avventava famelica negli uffici e negli affari dello Stato ripiegava le insegne guerriere in politica estera. L'esordio di Mussolini fu una prova solenne delle prime rinuncie. Il capo della rivoluzione si mostrò il più scrupoloso servitore della realtà. Il tono fu un errore, ma la sostanza delle sue prime dichiarazioni assicurarono la turbata opinione pubblica. Affrontando la spinosa questione adriatica fece alla Can1era questo ragionamento: - Con la Jugoslavia non ci sono che due vie : o la pace o la guerra ; non posso fare la guerr~ perchè scatenerei una coalizione di potenze interessate contro l'Italia isolata, quindi faccio la pace -. Noi salutammo la pace, ma ci dispiacque in quella forma che non teneva alcun conto della dignità nazionale. Quella pace per necessità ci parve umiliante quanto una sconfitta, mentre eravamo certi che si poteva fare una pace con onore, nelle intenzioni leale e negli effetti utile. Non c'era anzi che da mandare a termine una pace già iniziata col trattato di Rapallo. Il negoziatore per l'Italia di quel trattato aveva voluto cornpiere una pace di utilità e di principio, Mussolini ripudiò il principio e si attenne ali' utilità. Non è la stessa cosa. Nel primo caso la pace adriatica era il primo atto di una nuova politica, il primo passo dato dall'Italia veramente grande potenza verso un avvenire fecondo di iniziative nell'Oriente balcanico, nel secondo caso la pace adriatica è stata la liquidazione di una pendenza, la definizione di una ' controversia che cominciava ad infastidire. Abbiamo visto il Governo jugoslavo accettare le trattative dir.ette col Governo fascista, che portarono alla cancellazione dello stato autonomo di Fiu1ne, con un senso di sollievo malcelato ; chi può sostenere in buona fede oggi che fra l'Italia e la Jugoslavia sia incominciata una feconda politica di mutua collaboBiblioteca Gino Bianco
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