La Critica Politica - anno IV - n. 12 - dicembre 1924

.. 518 LA CRITICA POLITICA la possediamo più compiutamente nella serenità della nostra riflessione. L' individuo isolato è meno libero di colui che vive nella famiglia, nella società, nello Stato, perchè famiglia, società, Stato gli offrono una sfera di attività sempre più vasta, in cui la sua personalità si arricchisce e si tempera. Se la libertà fosse un'astratta facoltà individuale (la facoltà di « far quel che mi piace ») dovremmo dire che si annulla a misura che l' individuo comincia più veramente a vivere. nel mondo ; ma noi chiamiamo siffatta facoltà un mero arbitrio contrario a ciò che gli uomini sentono essere la loro missione sociale e morale. La libertà esiste in quanto si esercita, in quanto si affronta con le esigenze via via più complesse che la vita presenta. Che cosa è mai la libertà dell' uomo eslege, del selvaggio o del bandito ? Schiavitù del proprio capriccio o delle proprie passioni, schiavitù di fronte alla natura o di fronte alla società; in ogni caso, un incentivo all'abbrutimento e all'annientamento. Libertà è quella dell' uomo che vive nella società civile, con tutti i suoi legami e i suoi pesi, dalla cui ser-: vitù egli si riscatta continuamente, col fatto stesso che li riconosce come mezzi necessari all'attuazione della sua personàlità morale (1). Queste due concezioni della libertà, che noi abbiamo qui abbozzate, sono soltanto due sistemi storici che si seguono in ordine irriversibile, e del primo dei quali si può dire che sia del tutto scomparso, dopo che il secondo è subentrato al suo posto ? O sono anche due momenti ideali della nostra vita presente, l' uno subordinato all'altro, ma tuttavia insopprimibile e rinascente con una energica pretesa all'esistenza, ogni qual volta crederemmo di averlo soppresso ? Negare questa loro contemporaneità sarebbe disconoscere la più immediata esperienza della nostra vita psicologica e sociale, e - quel che è più grave - lo stesso carattere, genetico della libertà. Per quanto noi cerchiamo di confinare la libertà arbitraria ed egoistica all'infimo stadio dell'evoluzione libe- ·rale, non possiamo mai negare che vi sia in essa un barlume di vita spirituale e spontanea, cioè di libertà vera. La negazione, magari arbitraria ed eslege, di - una realtà consuetudinaria e meccanizzata, segna il primo distacco dello spirito • da tutto ciò che l'aggrava e lo paralizza ; il primo atto di fiducia in sè, che pone in moto la sua energia fattiva. L'esperienza dell'errore, del male, che immancabilmente gli si offre lungo la nuova via, è un'elemento vitale della sua formazione, senza di che anche la verità e il bene non sono più la sua conquista, la sua gioia e il suo orgoglio. E nelle stesse fasi più progredite della vita spirituale, quando la libertà è un sicuro possesso ed ha già fruttificato, è necessario tuttavia che si rinnovi l'energia della negazione e della critica, che le ilnpedisce di disperdersi in una_inerzia stagnante. · La contemporanea presenza di differenti stadi della libertà nello stesso mondo sociale e nella stessa vita di un individuo, pone in essere il primo problema politico del liberalismo. Dobbiamo noi riconoscere la libertà soltanto nella sua fase più progredita e matura? fare, per esempio, dello Stato un Pritaneo di uomini liberi, segregandoli dalla massa servile, da governare con l'autorità? Ciò equivale a riconoscere, come unica libertà, quella di fare il bene, come la Chiesa cattolica ha costantemente insegnato, e come alcuni odierni politici, che fanno professione di liberalismo, non sono lontani dall'ammettere. Ma è evidente che una tale politica annulla anche quella libertà che vorrebbe salvare, la cui esi- (1) V. i miei < Problemi della conoscenza_e della moralità>, Messina, 1924, pp. 120-121. - . BibliotecaGino Bianco ' --

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