La Critica Politica - anno IV - n. 8-9 - 25 settembre 1924

354 LA CRITICA POLITICA specifici e transitorii, ed è anzi qui che si ritrovano le ragioni della indistruttibile saldatura fra agrarismo e fascismo. Tali ragioni sono di due specie. In primo luogo il fascismo nelle campagne realizza il dominio diretto del1' uomo sull'uomo, è un vero ritorno schiavistico, e, in questo senso, esprime la dittatura all'ennesima potenza. In secondo luogo la cessazione dello stato dittatorio darà luogo, nelle stesse campagne, alla identificazione di responsabilità precise, personali, inconfondibili, e può orientarsi in una rivalsa a obiettivi individuali. Nel < rassismo > superfascista, ossia nella ricostituzione di ostinate feudalità localistiche, influiscono entrambi questi coefficienti: l'entità del lucro cessante e J'entità del danno emergente. Ciò non toglie, però che anche altri elementi più serii e obiettivi entrino in gioco. E qui conviene intendersi. Oppostamente a quanto presume la tradizione socialista nata nell'industrialismo urbano, le possibilità della classe lavoratrice contro la classe padronale sono molto più pressanti nell'economia terriera che non in quella industriale. Il motivo principale può riscontrarsi in ciò: che, fra le due classi, non vi è, o è quasi impercettibile, la differenziazione di capacità; e che, pertanto, la gerarchia sociale vi ha un fondamento esclusivamente giuridico e politico e, insomma, di forza. Tra il proprietario e il fittabile da un lato, e, dall'altro lato, il colono, il çontadino e il giornaliere, vi sono, dal punto di vista della gestione dell'azienda, delle differenze minime. Tali dif- " f erenze sono state, in ogni caso, colmate in grandissima misura dall'organizzazione: gli uffici di collocamento e le cooperative sono, in maniera indiretta e diretta, la prova della surrogabilità quasi perfetta delle classi. La minaccia è legittima e, appunto perciò, è reale e vicina. Una volta presa negli ingranaggi della democrazia - elettorale, sindacale, cooperativa ecc. ecc. - la proprietà terriera, incapace di rivalse economiche di tipo borghese e capitalistico, resta con molto scarse difese. Il suo reazionarismo, c1Je oggi si chiama fascismo, viene di qui; e, avendo esso questa sorgente obiettiva e realistica, è di qui che vengono le resistenze più tenaci alla dissoluzione del regime di dittatura (1 ). Amendola avverte bene questa profonda connivenza e fa appello ripetute volte alla forza della < borghesia lavoratrice>. La nozione è un po' vaga. Non può, peraltro, supporsi che egli voglia farvi rientrare anche quegli altri ceti, che svolgono un'attività direttiva nell'economia. Ciò sarebbe manifestamente contradditorio con l'accezione comune del vocabolo di democrazia. E resta, allora, che l'attributo del lavoro viene inteso come contrassegno dell'appartenenza a quelle classi sociali, che, sulla scorta di Mac Donald, potrebbero chiamarsi < classi utili >. Ma il concetto di utilità congiunto a quello di lavoro ci conduce subito verso quelle classi che sono, per antonomasia, lavoratrici e, in genere, verso le classi, che non vengono designate come < superiori>. Così esistono delle frazioni, ancora disperse, di borghesia I (1) Non ci sembra esatta l'affermazione del Fovel che fra borghesia agraria e proletariato rurale vi sia una differenza minima di capacità, e che la scomparsa del proprietario e del fittabile potrebbe avvenire senza detrimento della produzione. L'agricoltura italiana è suscettibile ancora di grandissimi progressi tecnici; i mezzadri, e ancor meno i braccianti, lasciati a se stessi e divenuti padroni della terra, non farebbero compiere alla agricoltura quei progressi che è indispensabile si compiano nell'interesse della economia nazionale. - (Nota della Redazione). Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==