La Critica Politica - anno IV - n. 7 - 25 luglio 1924

L' IMPOSTA SUL REDDITO AGRARIO 323 L' imposta sul reddito agrario Ci sen1bra necessario ripetere ancora una volta che indizio della scarsa rispondenza dei gruppi politici di opposizione con le correnti profonde della vita nazionale è il fatto che nessuno di essi sappia il fermento vivissimo che esiste nelle campagne contro l'applicazione della tassa sui redditi agrarii alle famiglie coloniche. I mezzadri non sanno adattarsi a pagare questa nuova imposta, applicata tumultuariamente, con criteri diversi da agenzia ad agenzia delle imposte, senza alcun lavoro preparatorio atto ad assicurare un equo reparto della tassa; moltissimi si rifiutarono di presentare le denuncie chieste dal fisco e moltissimi si rifiutano oggi di pagare, insistendo in una resistenza passiva che i primi pignoramenti eseguiti dalle Esattorie non hanno servito a romµere. Le opposizioni parlamentari ignorano questa situazione, che in alcuni paesi minaccia di divenire tragica; nella discussione sull'indirizzo di risposta al discorso della Corona neppure il comm. Insabato che parlava a nome del partito dei contadini ha fatto cenno allo stato ~'animo di larghissimi strati delle popolazioni rurali e la stampa di opposizione, che dà la caccia a tutti gli episodii, ignora il fenomeno in parola. Eppure la situazione è gravissima: quando un'imposta che colpisce numerosissimi cittadini non viene pagata spontaneamente e i messi esattoriali debbono con la scorta dei carabinieri recarsi casa per casa nelle campagne a sequestrare macchine da cucire, fucili, biciclette, prosciutti ecc., è innegabile che si seminano a piene mani i risentimenti. Un agente rurale di un grosso proprietario ci diceva in questi giorni di aver constatato che i rapporti fra proprietari e coloni, tornati normali dopo l' infatuazione del 1920, sono nuovamente tesissimi: i contadini sono cupi, non salutano più con cordialità, non obbediscono con prontezza, non lavorano con amore: stiamo ritornando alla situazione morale del 1920. Un grosso proprietario a sua volta, nel confermare queste impressioni dell'agente, ci dichiara che egli non va più volontieri in campagna, perchè sente di trovarsi a disagio con i suoi contadini, che considerano la nuova imposta come una cosa iniqua senza precedenti. L'on. De Stefani, chiuso nella torre d'avorio del suo teoricismo, e l'alta burocrazia del Ministero delle Finanze, cosl lontana dalla psicologia del contadino, con la loro imposta e più con le barbariche modalità di accertamento hanno commesso il più grave e il più irreparabile degli errori, che darà frutti di cenere e di tosco non tanto per il loro partito quanto per la Nazione, scavando un abisso fra proprietari e coloni, fra i mezzadri e lo Stato. La deliberata riduzione dell'aliquota di questa imposta dal 7,50 ~l 5 per cento con decorrenza dal 1 gennaio 1925 non modifica la situazione in quelle località ove non si paga la tassa: i coloni dovrebbero ora pagare l'imposta per il 1923 e il 1924 in base all'aliquota del 7,50, per cento del loro reddito presunto: trovano eccessiva la cifra, e non pagano. Ridurre l'aliquota per il 1925 non risolve il problema: bisognerebbe se mai ridurre, e molto, quella per il 1923 e per il 1924 o dare istruzioni agli esattori perchè.... redigano migliaia di verbali negativi di pignoramento 1 Il pericolo di questo rimedio è evidente: si darebbe ai coloni l' impressiorre che di fronte alla loro resistenza passiva il Governo nulla può, con conseguenze gravissime anche per l'imposta sul vino. D'altro canto riscuotere un'imposta a base di pignoramenti e di sequestri non è possibile, se il contribuente rimane irremovibile nel suo proposito di non pagare. De Stefani e la burocrazia si sono cacciati con questa imposta in un vicolo cieco, che a Camera aperta e con la stampa libera si sarebbe evitato certamente. F. ARIELI Biblioteca Gino Bianco

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