I RURALI E IL FASCISMO 203 Il divorzio fra l'assetto politico dello Stato e la vita econo1nica della Nazione è storicamente inconcepibile, e poichè nella vita economica nazionale i rurali hanno una importanza decisiva, un regime che non tenga nel dovuto conto gli interessi dei rurali non può perdurare. L'avvento fascista fu accolto dalla borghesia rurale come una liberazione, in quanto ristabiliva nei campi l'ordine indispensabile per la produzione, e in quanto prometteva la fine di un indirizzo politico sperperatore a beneficio di categorie privilegiate (ferrovieri, salariati di enti pubblici, cooperative di sfruttamento dell'erario, ecc.): la borghesia rurale sperò che il nuovo regime le assicurasse l'ordine, la traquillità, l'economia, e nella fine degli scioperi vide l'attuazione delle sue aspirazioni più care : comincia ad avvertire però che fra i suoi contadini brontola sordamente una cupa irritazione destinata a scatenarsi prima o poi contro di essa ; vede che le spc.se pub~liche fatte in gran parte con i suoi denari si moltiplicano, anzichè ridursi: e la delusione inizia la sua opera di corrosione. Uscirà da essa un movimento non inficiato dalla retorica dal politicantismo e dalla coreografia delle vanità? Se potesse darsi a questa domanda una risposta positiva, la tendenza federalista acquisterebbe certamente nella vita politica italiana un peso decisivo, perchè essa è la sola che abbia una rispondenza con i bisogni interiori della produzione, per la sua avversione alla burocrazia e alla plutocrazia e per la sua adesione alla realtà economica. I rurali, per esercitare una influenza politica, hanno la necessità di un ordinamento federale dello Stato; quando nel Mezzogiorno e nelle Isole si sia diffuso il convincimento che la salute è nelle loro popolazioni sane e laboriose e non nell'intervento statale, quando i meridionali si saranno persuasi che solo in se stessi debbono aver fede, l'Italia sarà ali' inizio di un nuovo ciclo storico di grandezza economica e spirituale. FEUERBACH Il REGIONALISMO NEL MEZZOGIORNO E a che ci servirebbe il Regionalismo? domanda un pubblicista meridionale. A cosa ? Ad acquistare la conoscenza dei vostri problemi e dei vostri interessi e a imparare a risolverli da voi, colle vostre forze, coll'opera vostra. A distruggere in voi meridionali quella tendenza all'aspettazione messianica in cui le attività locali si annullano e l'iniziativa e l'azione, tutto è rimesso al favore, alla concessione, all'intervento taumaturgico del potere centrale. A togliere di mezzo l'abisso morale che oggi separa i governati dai governanti, gl'interessi dagli interessati, facendo cosl scomparire anche l'origine e la causa permanente di tutti i vizi di ambiente e di quello stato d'animo particolare alle popolazioni meridionali che oggi sembrano quasi una fatalità. Ma ci si osserva: il regionalismo se esiste in qualche enunciazione programmatica, non esiste, invece, nell'animo meridionale! Se non esiste bisogna crearlo, come coscienza, come volontà, come spirito di autonomia. Occorre vincere l'abitudine al servilismo determinata dal sistema di oppressione, di arbitrio, di sfruttamento mantenutosi per secoli, attraverso tutti i governi passati e presenti. Occorre che i meridionali vogliano essere essi soli gli artefici dei loro destini. BibHoteca Gino Bianco .
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