PATRIA E LIBERTÀ 139 filosofiche; egli ne rintracciava l'applicazione politica in una riforma sociale, d'eguaglianza, a beneficio del popolo (1). "La libertà senza l'eguagli~nza - scriveva da Londra ad un giornale svizzero cinque anni dopo - non è nè può essere una realtà se non per un piccolo numero di privilegiati, una delusione, una parola vuota di senso .... " (2). La libertà, inoltre, è inconciliabile con ogni dominio di casta o di classe. " Qualunque classe, qualunque minoranza è rivestita del privilegio di pensare e d'operare per tuttti, è presto o tardi trascinata, inevitabilmente, a non pensare e a non giovare che a sè "(3). Ed è ciò che hanno fatto le classi dirigenti in Italia, dal 1860 in poi: non han pensato che a giovare a se stesse. Il popolo, il proletariato, come s' è cominciato a dire· più ta.rdi - s'è trovato in certo modo straniero nella sua patria, malgrado che la patria fosse politicamente costituita. Dal non aver la costituzione della patria unita dato al popolo nè una libertà degna di questo nome nè, tanto meno, l'eguaglianza, è derivata la necessità per le classi popolari di continuare la lotta ali' interno. La nuova classe dominante italiana, che avea cominciato a forn1arsi poco prima del 1859, quando si comprese da che parte volgevano le fortune politiche, composta dei cortigiani sabaudi, dei rinnegati della rivolu- .zione e degli uomini de' vecchi regimi alla lesta accodatisi al regime nuovò - e dietro a loro, di tutti gl' interessati più sordidi che stanno con chi vince - fin dall'inizio mostrò di considerare l'Italia come una terra conquistata e la " patria" come una sua proprietà privata, da cui erano esclusi tutti i suoi avversari e l' innumere massa dei proletari di cui non si teneva conto che come di carne da lavoro e da cannone. La libertà, ch'era stata il sogno più ardente di tanti italiani e di tutti i martiri e gli eroi della patria dal 1790 in poi, nel cui nome l'Italia aveva raggiunto la sua indipendenza, fu considerata dalle classi dirigenti italiane, dal 1860 in avanti, come una concessione fattcC per forza e per interesse, ma che bisognava limitare il più possibile, conservandone le apparenze e truffandone la sostanza. "Il patriottismo alla moda - scriveva Gustavo Modena fin dal 1859 - si riassume nel motto unione nella menzogna; e Mazzini viene rinnegato, schernito, calunniato da quei che giurarono in nome auo: arrivano a minacciarlo di morte se varca la frontiera a turbare il commovente accordo n· Ed un anno dopo, da Milano appena sgombra dagli austriaci, il grande attore repubblicano lamentava ancora : " Adesso si iinprigionano e si cacciano i cittadini milanesi con piil arbitrio di quando v'era l'Austria, e i sedicenti liberali applaudiscono e fanno essi da spia: il dispotismo regna e la folla di servili si rotola nel fango ,, (4). Quasi subito il popolo assaporava le delizie del nuovo regime. A Torino e Palermo i conquistatori della patria arrossavano di sangue cittadino le piazze e le vie, in cui primo era stato levato il grido di libertà, aprendo la (1) Queste idee sono diffusamente sviluppate in uno scritto già citato, da p. 183 a p. 189 degli Scritti editi ed lnedltl (Edizione Nazionale, Coop. Galea ti, Imola) volume primo. (2) Vedi Scritti edltl ed Inediti, idem., voi. XVII, p. 195. (3) Idem, id m, p. 258. (4) Vedi Politica ed Arte. Epistolario dl Gustavo Modena. (Edit. G. Barbera, Firenze 1888). - Lettere dell' 8 febbraio 1859 e del 7 aprile 1860. ibliotèca Gino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==