,. 68 LA CRITICA POLITICA 'd'illusione vi fosse in coloro che credevano sufficiente al trionfo della libertà lo stabilimento di un regime rappresentativo, .con garanzie legali, mentre permangono divisioni di classe e di casta, privilegi del trono e dell'altare, ecc. Ma per quanto i più avveduti fin d'allora proclamassero che la libertà è inconciliabile con la potestà regia e di classe, i più identificavano la libertà - oltre che con la liberazione della patria dallo straniero - con la <costituzione~- Ma la costituzione era il mezzo, come la patria il territorio, con cui e su cui fondare la libertà di tutto il popolo italiano. La libertà era lo scopo supremo. Poichè, dopo il 1815, il dominio austria·co era il più forte e il più duro, quello che informava l'esosa politica di tutti gli altri Stati italiani, in esso si odiava, nella doppia qualità di strariiero e di tiranno, il più feroce nemico della patria e della libertà. Ma altrettanto odiato era il governo pontificio,. sopratutto per la compressione d'ogni libertà del pensiero anche nelle sue manifestazioni intellettuali più lontane dalla politica. Ne.lla patria si amava e cercava sopratutto la libertà; il sentimento unitario si formò assai più tardi. Quando nel 1815 Gioacchino Murat levò, per salvarsi il trono, una bandi_era su cui_ aveva scritto < indipendenza e unità d'Italia>, trovò freddezza e vuoto, perchè gli italiani vedevano in lui solo un principe ambizioso di potere. Questa ostilità ad ogni principato si attenuò poi, per la influenza delle monarchie rappresentative francese e spagnuola. Le rivoluzioni del 182f e del 1831 risentirono di questa illusione di poter ottenere libertà dai principi costituzionali. Malgrado le delusioni del '21, fu possibile la tragedia di Ciro Menotti,. vittima delle speranze poste in Francesco IV di Modena. Vi fu perfino chi credè capace il Borbone d'alzar bandiera di indipendenza, malgrado nella ignobile Corte di Napoli si assommassero le furie liberticide dell'Austria e le retrive superstizioni di Roma (1). È celebre la lettera di Giuseppe Mazzini nel 1831 a Carlo Alberto, ed è noto che il re sardo le rispose nel volger d'appena due anni con la fucilazione e le torture dei patriotti a Torino,. Chambery, Alessandria, finerolo e Genova. Però fin dopo il 1848 questa di giovarsi dei ~rincipi per scopi di libertà fu illusione di pochi, incerta e passeggera. La parte di carboneria che più sentiva l'influenza del Buonarotti avea ~endenze accentuatamente giacobine,. cosmopolite e già con qualche infiltrazione socialistica. D'altra parte il Mazzini combattè accanitamente tale illusione nella Giovine Italia, sotto altro punto di vista, specialmente in uno scritto del 1832, che anche oggi potrebbe utilmente rileggersi, sulle « cause che impedirono lo sviluppo della libertà in Italia». Tanto i patriotti repubblicani quanto i costituzionali vedevano nella Patria sopratutto il territorio della Libertà, gli uni pensando alla Costituzione rivoluzionaria del 1793 e gli altri alla Carta monarchica del 1815. Fu Giuseppe Mazzini che per il primo, pur ~on separandola dalla libertà, presentò agli italiani l' idea di patria come qualcosa di per se stante, cui la causa della libertà veniva automaticamente subordinata. (1) Ad una sp·eranza del genere accennava il Sismondi in una lettera a Mazzini pubblicata nel IV0 fasci colo della Gtovtne Italia (1833). BibliotecaGino.Bianco
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