la critica politica - anno III - n. 12 - 25 dicembre 1923

- . . . . COME SI RINUNCIÒ AL DECENTRAMENTO 527 Farini, il principe di Carignano e il conte Ponza di S. Martino - e tutti tornarono in Patria esausti, coperti di ingiurie, perchè non potevano padroneggiare gli indisciplinabili. Era prudente dare l'autonomia a questo paese insubordinato? Solo un energico potere centrale pareva in grado di tener testa a queste forze della discordia. Nessuno chiedeva centralizzazione con insistenza maggiore di quella dei valorosf ei:nigrati dello Stato borbonico. · Per amor di Dio, chiudete queste cloache a~ministrative di Napoli e di Palermo, scriveva La Farina. Quest'uomo valente inorridiva all'idea che potesse ritornare il vecchio sistema ; i fantasmi sanguinosi della restaurazione del 1799 turbavano i suoi sonni. Come lui pensava il Poerio, il martire di Napoli; e il governo dette troppo peso all'opinione di questi uomini, ca- , dendo in un errore quasi inevitabile. Se finora si era temuto l'ardore centralizzatore dei piemontesi, ora si considerava maggiore il pericolo del ' federalismo, della disgregazione, sopratutto perchè anche nell'Italia settentrionale ridestava l'antico odio di razza. Anche Ricasoli, il superbo toscano, cominciava a dubitare del suo ideale. II pensiero dei regionalisti fu scartato a poco a poco: nei nuovi progetti del Minghetti le regioni apparivano già solamente come un sistema promiscuo; e invece l'Italia aveva i. bisogno di un ordinamento definitivo. Il Conte, immerso nei suoi progetti di politica estera, non ravvisò la enorme importanza della quistione. Egli avrebbe preferito le regioni, ma non voleva, su di esse, porre una questione di Gabinetto, nè offendere i centralisti della n1aggioranza. Egli trascurò quest'affare gravissimo ; e poi mort Cosl avvenne che un Parlamento, il quale voleva veramente l'autonomia àmministrativa, finl col prendere Ia decisione opposta. Nella nazione prevaleva il liberalismo francese, che vedeva la libertà solo nell'estensione del diritto elettorale. Infine l' indolenza burocratica dette il tracollo : il sistema dei prefetti, che durante il ministero Rattazzi era stato riordinato in Lombardia e Piemonte e maledetto da ogni mente liberale, dopo· la morte di Cavour fu esteso a tutto il Regno. Cosl nacque un'amministrazione che .riuniva in sè tutti i difetti della burocrazia francese senza averne i pregi: prontezza e precisione. Il prefetto non aveva sotto di sè, come in Francia, tutta l'amministrazione ; esso era soltanto un organo del ministero dell' interno ed era in lotta perpetua coi colleghi degli altri dipartimenti. · I cacciatori d'impiego si lanciarono ancora all'assalto di nuovi uffici ; agenti ben collocati servivano da mediatori nel mercato. Un esercito di impiegati con competenze indeterminate governava e sgovernava, più dannoso per la trascurataggine e il disordine che per il viz~o della corruzione che spe~so si manifestava. Il Re nominava tutti i sindaci. Se il più lontano Còmune di Sicilia voleva emettere un'ordinanza sulla remozione delle immondizie, bisognava che prima sentisse il parere del Consiglio di Stato e avesse l'approvazione del Re. La libertà dei governati, la loro partecipazione agli affari pubblici, consisteva nel diritto di gettare, di tanto in tanto, una scheda nelle urne elettorali. Ben presto la popolazione minuta della Lombardia-, avvezza all'amministrazione dispotica ma ordinata degli austriaci, cominciò a mormorare: se domani tornasse il tedesco, gli baceremmo gli stivali 1 . ENRICO VON TREITSCHKE .J· I .Biblioteca Gino Bianco

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