la critica politica - anno III - n. 12 - 25 dicembre 1923

526 LA CRITICA POLITICA Ma disgraziatamente mancava ancora del tutto al ·popolo il paziente coraggio politico del lavoro, che solo può portare una sana autonomia amministrativa. Fin dall'antichità la nazione era avvezza a considerare come nemica l'autorità dello Stato; non poteva d'un tratto trovare in sè la risolutezza necessaria per porre automaticamente mano agli affari dello Stato ormai libero. Tutto lo sforzo del pensiero dell'ultimo decennio era stato rivolto all'indipendenza d'Italia, nessuno aveva pensato alle quistioni amministrative. Ciò che allora fu scritto su questo argomento rivelava solo on' ignoranza deplorevole, un vero servilismo verso le idee francesi. < Caviamoci il cappello, esclamava entusiasticamente il La Farina, dinanzi al sistema dei prefetti del Primo Console, che ha resistito a tante e così terribili tempeste>. ijon gli venne in mente di rovesciare l'argomento e di chiedersi, se appunto in quell'ordinamento amministrativo dispoticamente immutabile non dovesse ricercarsi la ragione ultima della mancanza di libertà della Francia. D'altra parte dietro le domande di decentramento si nascondevano pericolosi progetti separatistici. Fra i regionalisti era largamente diffusa l'idea di mantenere ai vecchi staterelli l'antico sistema d' imposte. Specialmente la Toscana, l'Hannover del regno ~d' Ital_ia, viziata per la predilezione che le mostrava lo Stato, orgogliosa di una legislazione non cattiva, intendeva poco di rinunziare alla sua autonomia, voleva entrare nell'ass~ciazione come maestra dei piemontesi. Anche l'ambizione burocratica si manifestava nel progetto delle regioni. Una schiera di impiegati cresciuti alla scuola del dispotismo, che venivano ad aggiungersi in numero sei volte maggiore a quelli piemontesi, intendeva l'idea di decentramento al modo del bonapartismo, cioè che la burocrazia, non molestata dal ministro, dovesse compiere a piacere suo la propria opera nelle singole regioni. Mantenere sei tribunali amm~nistrativi superiori, come era stato fino allora, appariva più conveniente che sottoporsi a un Consiglio di Stato, a un rigido diritto amministrativo comune 1 Ciò non ostante, se un Cavour avesse messa tutta la sua energia per attuare il sistema regionale del Farini, il contenuto sano dell'idea si sarebbe salvato in mezzo a tutte le difficoltà e le falsificazioni. Nell'estate 1860, quando Farini presentò il suo progetto a una commissione, tutti parevano d'accordo. Ma presto si scontò la circostanza che il Piemonte, nel1' ultimo decennio, aveva fatto pochissimo per la riforma della propria amministrazione. Appena si cominciò a entrare nei particolari, nulla dell'antico ordinamento parve più conservabile e ci si vide dinanzi alla necessità di una costruzione nuova. Sorsero cento progetti e cento dubbi e altre difficoltà secondarie: I' U1nbria e le Marche non erano troppo picco)e per formare una regione ? · In mezzo a questa incertezza di opinioni venne a cadere la malaugurata conquista del Mezzogiorno. Ancora Gaeta non era presa e già i napoletanj mormoravano perchè dovevano lavorare, pagare tasse, prestare il servizio militare. Tutto era buon pretesto per gridar contro gli impiegati piemontesi, il cui sentimento dell'ordine era tuttavia una benedizione pel disordine meridionale, e negli Abruzzi i briganti cominciavano già la loro opera sanguinaria in nome del Re legittimo. Un governatore dopo l'altro cercarono di mettere un po' d'ordine in queste cose - tre durante la vita di Cavour: Biblioteca Gino Bianco

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