la critica politica - anno III - n. 8-9 - 25 settembre 1923

• IL MEZZOGIORNO E L'ACCENTRAMENTO STATALE 387 ·cora fuse. Son vissute troppi secoli separate, lontane, sospettandosi a vicenda. Storia ·che non si cancella in pochi d'ecenni. Ma l' Italia del prossimo . avvenire non potrà venir fuori che da questa fusione. Crispi lo presentiva, quando parlava di < meridionalità irrompente >. Nelle· campagne del Mezzogiorno si mantiene intatta I~ genuinità e la purezza della razza, non traviata nè contaminata : onde è lecito presumere che l' Italia possegga nelle sue classi rurali un fattore di trasformazione più attivo e più pronto che non le altre Nazioni concorrenti (1). I meridionali focosi e ad un tempo tenaci, pazienti, ordinati ; e i settentrionali, pieni di slancio, di spirito d) iniziativa, di audacia, d' intraprendenza, fonderanno insieme queste loro qualità che sembrano e non sono divergenti, e, attraverso la meravigliosa concordia discorde che è nell' indole italiana, perverranno alla grande armonia na- , zionale, cioè alla rinnovata potenza dell'Italia. * * * Ma lo stesso Crispi soggiungeva: < O riformiamo lo Stato o periremo> I E il Mezzogiorno non può salvarsi che attraverso una bene intesa riforma statale. Lo Stato nostro è giovane di anni, ma è vecchio nei suoi ordinamenti. La macchina è logora, stride da tutte le parti. E non è l'olio nuovo che occorre, bensl la macchina nuova. È curioso che oggi, per odio partigiano, tanta gente che sino a ieri lanciava fiamme e fuoco contro lo Stato qual era e quale ancora è, faccia finta di scandalizzarsi avanti alla possibilità della riforma della Costituzione. Le vereconde Vestali!... Ma cosa si vuole, dunque? Un ritorno all' antico ? Al sistema parlamentare uso De Pretis, Giolitti, Facta? Si - si risponde -, vogliamo un Parlamento purificato, vogliamo cioè Montecitorio senza corridoi, senza intrighi, senza affarismi e compromessi. Quale utopia! Il Parlamento era già cominciato a decadere in Italia ai tempi di Marco Minghetti, che in un libro famoso ne descrisse le deficienze, fin da allora molto gravi. Ma quelli eran tempi d'oro. La legislazione, in fin dei conti, era ancora alquanto semplice, e il Parlamento poteva svolgere e compiere iJ suo lavoro mediatamente. < Bisogna tenere in mano la lama della legislazione >, aveva detto Bismarck. La burocrazin era scarsa, onesta, non organizzata. Erano sul nascere i grossi gruppi finanziarii e plutocratici, che adesso avviluppano nei loro tentacoli tanta parte della Camera e del Senato. Le organizzazioni operaie e sindacali non esistevano. Il Paese poteva dirsi dunque, anche attraverso il suffragio ristretto, rappresentato dai suoi deputati, i quali nel complesso, nei primi decenni del nuovo Regno (senza parlare del gloriosissimo Parlamento Subalpino), resero al Paese servigi inestimabili. Si spiega perciò la frase di Cavour: < La peggiore delle Camere è sempre a preferirsi alla migliore delle anticamere >. Quelli di Cavour erano i tempi eroici del Parlamento. Oggi - se ne _può esser certi - il gran Conte esprimerebbe ben altro giudizio. Infatti, in trenta o quarant'anni, la situazione è mutata quasi radicalmente. La legislazione si è talmente complicata e aggrovigliata che un po' (1) Cfr. CELSO ULPIANJ: / privilegi del suolo e del clima d'Italia. Portici, Della Torre, 1918. iblioteca Gino Bianco

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