la critica politica - anno III - n. 7 - 25 luglio 1923

310 LA CRITICA POLITICA dello Statuto, ragion vorrebbe che si sostituissero le parole cittadini, o popolo. Uno Statuto rappresentativo, dovendo essere, anzichè un ordinamento sovrano, il risultato di un patto tra Popolo e Re; e dovendo d'altronde servir di Legge fondamentale dello Stàto; Legge che deve ammorzare ogni dissidio tra il Re ed il Popolo, parrebbe non tanto conveniente quanto importante il consultare il Popolo sulle basi che dovrebbero adottarsi. Epperò sarebbe assai profittevole che venisse lo Statuto pubblicato, dichiarato meramente provvisorio; provvisorio; cioè nel senso non dell'effetto, ma del disposto; per essere poi discusso da una Nazion'ale Assemblea, che assumerebbe il titolo di c;ostituent e. Che se una Costituente riescisse impossibile ad ottenersi, lo Statuto domanda, per. i tempi in cui fu pubblicato, di essere riformato secondo le seguenti osservazioni: Sull'art. I si osserva che qualunque culto ora esistente oltre la Religione Cattolica Apostolica Romana non dovrebbe soltanto essere tollerato, ma proclamato libero nell'esercizio. Ad ogni modo poi il professare qualunque culto . non esistente, oltre la Religione Catt. Ap. Romana, non dovrebbe portare per conseguenza, ciò che porta l'art. 24, il quale escluderebbe, secondo la legge, i professanti altri culti dai diritti civili e politici; nel mentre che l'artic. 25 li sottomette tutti indistintamente, in un coi cattolici, ai carichi dello Stato, la qual cosa ripugna alla civiltà del tempo in cui viviamo (1). Per ciò che riguarda l' art. 5, comandi pure il Re le forze di terra e di mare ; ma si aggiunga : che non possa chiamare, nè prendere al servizio dello Stato truppe straniere. Faccia il Re i trattati di pace, di alleanza e di commercio, ma non si estenda questa facoltà ad altri trattati ; chè troppo vaga è la parola altri, o capace nella sua estensione di condurre a serie conseguenze. Si osserva sull'art. 6, che invece di - senza sospendere l'osservanza, o dispensarne - dovrebbe leggersi - senza poter sospenderne, ecc. Nell'art. 18 si riservano al Re certi diritti ivi annunci'ati con espressioni alquanto ambigue, e che nella stessa loro ambiguità dinotano gravi riserve in affari cui le Camere non dovrebbero rimaner estranee. Riguardo all'art. 20 interessa allo Stato che i principi della famiglia reale non possano essere defraudati nei diritti che le leggi civili attribuiscono ad ogni cittadino; epperò dovrebbe togliersi quel privilegio riservato al Re di essere sciolto dalf osservare il Cod. Civ., in ciò che concerne le disposizioni per atti tra vivi, e di ultima volontà : imperocchè un tal privilegio potrebbe dar luogo a disposizioni anche in favore di principi stranieri, o potrebbe perlomeno render povera l'esistenza più d'uno che dell'altro tra i principi reali, certamente non proficua allo Stato. Nell'art. 21 spaventa l'appannaggio che si vuol garantire a tutti i principi della famiglia reale, la qual cosa se si lasciasse sussistere, massimamente insieme col privilegio del Re di poter donare tra vivi e testare contro (1) Sino al 1848 vigevano in Piemonte le più odiose antiche interdizioni contro gl' israeliti e contro i Valdesi. A queste di certo alludeva lo scrittore di queste osservazioni; solamente con Legge 19 giugno 1848fu stabilito che la differenza di culto non dovesse formare pià ostacolo al godimento dei diritti civili e politici ed a l'ammissibilità alle cariche civili e militari. Biblioteca Gino Bianco

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