274 LA CRITICA POLITICA " Fu sempre, e così è ragionevole che sia, il fine di coloro che muo- " vono alla guerra, d'arricchire sè ed impoverire il nemico, nè per altra ca- " gione si cerca la vittoria, nè gli acquisti per altro si desiderano, che per "fare sè potente, e debole l'avversario: donde ne segue che qualunque " volta, o la tua vittoria t'impoverisce, o l'acquisto t'indebolisce, conviene " si trapassi, o non s'arrivi a quel termine, per il quale le guerre si fanno "" Ora, dubbio non è che si debba intendere arricchita dalle guerre e dalle vittorie la nazione che spegne i nemici e diventa padrona delle prede e delle taglie nemiche, mentre impoverisce nelle vittorie la nazione che, benchè vincitrice, non riesce a spegnete i nemici. Queste sono considerazioni che mi hanno preoccupato per parecchi giorni dopo aver letto il recentissimo volume di un valoroso pubblicista, Cesare Spellanzon. Il titolo del suo volume (1) " La tregua di Versailles" ha in sè un contenuto essenzialmente filosofico ed è pieno di sana ironia. Per lui il trattato di Versailles, che la Francia irtvoca ad ogni istante e verso gli alleati . e verso i nemici, non è stato un trattato, ma una tregua, la cui durata doveva dipendere dalla maggiore o minore consapevolezza dei governanti. Ma è particolarmente notevole il fatto che lo Spellanzon scriveva la sua critica esatta ed acuta - perchè pienamente giustificata dai fatti - nel giorno stesso della pace di Versailles, 28 giugno 1919, e fin d'allora, mentre innumerevoli uomini politici e giornalisti di gran nome levavano alle stelle quel trattato come un patto definitivo, come la quintessenza della giustizia, come il toccasana d'ogni male europeo, egli ne denunciava i vizi insanaoili; talchè i numerosi convegni, con i relativi trattati, tenutisi dopo quello di Versailles non hanno fatto altro, in sostanza, che corrodere, trasformare o distruggere i fattori morali, coi quali le nazioni s'erano riunite per assicurare alla triplice anglo-franco-americana la supre1nazia nel mondo. Ha fatto dunque molto bene lo Spellanzon a raccogliere oggi in questo volume i suoi articoli di critica estera, perchè, ecco qua: o i governi o i popoli stanno nuovamente per prevaricare, e la occupazione francese della Ruhr fa di nuovo sorgere nell'orizzonte tuttora infuocato nell'Europa il pericolo di un'altra conflagrazione. Ha fatto bene perchè la storia, che condanna inesorabilmente i frettolosi, gli ha dato perfettamente ragione. Tut,ti i capitoli di questo volume, dedicati all'esame dei travagli interni della Francia, dell'Inghilterra, della Germania, dell'Austria, della Bulgaria, dell'America e dell'Italia nelle loro interferenze e nei loro rapporti reciproci, sono dominati dalla chiara visione del futurq, che è, purtroppo, il presente nostro. Non diremo che gli avvenimenti non abbiano menomamente sconfessato l'Autore, perchè, ad .esempio, il trasformismo greco gli ha giuocato un brutto tiro; ma certamente il suo libro si inserisce con singolare fisionomia e fortuna nella letteratura, purtroppo, povera di numeri, intorno ai trattati. Il Malby diceva che i trattati sono gli archivi dei popoli, perchè registrano i titoli giuridici degli Stati, le obbligazioni e le leggi a cui vanno sottoposti, i diritti acquisiti o perduti. Definizione certamente geniale, ma non co1npleta; meglio si direbbe, parafrasando alcuni giudizi dello Spellanzon, che i trattati sono lo sp~cchio fedele della civiltà, e vanno perciò pro- (1) La tregua di Versailles. Città di Castello, Casa Editrice < Il Solco>, p. :xu-227 - L. 9. Biblioteca Gino Bianco
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