... MERLUZZI ISLANDESI E QUATTRINI ITALIANI 205 ed introdurre annualmente in Italia circa 70.000 quintali di pesci, che essi fanno conto di poter vendere facilmente al prezzo di lire 2,70 al K., realizzando un profitto annuo complessivo di due milioni di lire, che è quanto dire un profitto medio di lire 0,30 circa per ogni chilogramma di pesce venduto. Non so quanto attendibili siano questi calcoli che certamente il corrispondente del giornale inglese ha avuto da buona fonte, ma suppongo che, come sempre è il caso per i calcoli fatti dai pro1notori di società commerciali alla pesca di azionisti, essi siano piuttosto rosei, e non tengano conto adeguato di tutti i rischi e pericoli dell' impresa, compreso quello della difficoltà che non deve essere lieve di utilizzare pienamente gli equipaggi italiani in mari nordici ed in una specialità di pesca per essi del tutto nuova e sconosciuta, come lo ha del resto onestamente riconosciuto il Principe di Udine nella sua conferenza di Biella, accen- , nando alla novità assoluta dell' iniziativa della quale egli è a capo·. Accettiamo tuttavia per buone le previsioni che servono da base finanziaria ai promotori della nuova impresa commerciale, e solo cerchiamo di vedere chiaro da dove verranno, e da chi saranno effettivamente pagati questi sperati dividendi. Prima di tutto, occorre tenere presente che nessuna legge e nessun provvedimento dello Stato ha la virtù di creare un capitale nuovo in aggiunta ai capitali che esistono effettivamente nel paese e che possono essere in un dato momento investiti negli usi produttivi del commercio e dell' industria. Tutto quello che il Governo può fare coi suoi provvedimenti ed incoraggiamenti è di deviare una parte, grande o piccola, dei capitali che esistono nel paese dagli impieghi naturalmente più produttivi per incanalarla, colla promessa di esenzioni fiscali e di altri sacrifizi imposti forzatamente ai contribuenti ed ai consumatori, verso investimenti, dai quali le banche ed i privati capitalisti naturalmente rifuggono perchè li sanno o passivi o meno rimuneratori degli altri. D'altra parte, è ovvio che, nella misura in cui una parte grande o piccola del capitale che oggi esiste in Italia potrà essere allettata dalla promessa di esenzioni fiscali e doganali ad investirsi nella nuova impresa peschereccia, lo Stato perderà i proventi fiscali che avrebbe riscosso nel caso in cui quel capitale fosse stato diversamente impiegato, e nello stesso tempo i proventi doganali per i pesci che la nuova Compagnia avrà il privilegio di importare in franchigia di dazio, vale a dire riscuotendo ess~ il dazio invece dello Stato nei prezzi che farà per i consumatori italiani. I dazi stabiliti colla nuova Tariffa doganale sui prodotti della pesca pagabili, come si sa, in lire-oro, cioè al cambio del dollaro americano, ciò che equivale alla loro moltiplicazione attuale per 4, vanno da un minimo di lire 5, - per quintale per il baccalà e di lire 6, - per lo stoccafisso, le arin_ghe, le sardelle secche, salate, affumicate ed in salaiblioteca Gino . 1anco I
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