MERLUZZI ISLANDESI ~ QUATTR,NI ITALIANI 209 S. A. R. il Principe di Udine, che mi dicono giovane studioso ed intelligente, gli darei quello di ricercare quel prezioso e purtroppo dimenti- .cato capolavoro che sono i < Sophismes économiques > di Federico Bastiat. Può darsi che la lettura di un simile libro, oltrechè essergli di un vero diletto intellettuale, lo persuaderebbe a buttare a mare l'iniziativa della quale è a capo di una pesca in Islanda, e ciò sarebbe tanto di guadagnato per lui e per il popolo italiano. Ad ogni modo, ai promotori della Compagnia per la pesca incombe l'obbligo di dimostrare come una importazione da essi fatta in Italia nel modo che abbiamo visto, in sostituzione di una corrispondente importazione fatta ora da Ditte danesi o norvegesi, costituisca in qualche maniera e tnisura una nostra minore dipendenza dall'estero per il nostro normale fabbisogno nazionale di pesci. Questa dimostrazione non sarà mai data, ed è impossibile che essa sia data. È invece perfettarnente dimostrabile il contrario, cioè che al- ~ l' Italia conviene immensamente di più lasciare andare le cose, come sono sempre andate sino ad ora, e, in luogo di impegnare una parte dei suoi capitali in una impresa passiva e di serra calda per la pesca in mari lontani dei merluzzi e delle aringhe che essa consuma, lasciare che quei capitali restino a fecondare e ad alimentare le sue industrie naturali, i cui prodotti le serviranno, come sono serviti per il passato, da mezzo di scambio per procurarsi il pesce e tutte le altre cose che essa non può produrre economicamente ed ha quindi il tornaconto di importare dall'estero. Vi sarà sempre ad ogni modo questo sicuro vantaggio, che sui capitali che restano investiti in Italia il Governo italiano continuerà a riscuotere le imposte e le tasse che invece dovrebbe perdere sui capitali messi alJa ventura in una impresa cos) rischiosa, come è quella posta ora ·dai_ suoi promotori sotto l'alto patrocinio di S. A. R. il Principe di Udine. Attualmente, una importazione annua di 400-500 milioni di lire di pesce è pagata con una pari esportazione di merci e di derrate, la cui produzione ha permesso di vivere in Italia ad un numero di italiani cer- . tamente maggiore di quello dei marinai e pescatori che potrebbero_ occupare fuori del Paese tutte le Compagnie privilegiate per la pesca nei • mari vicini e lontani. Buona parte di cotesta esportazione, in quanto eccede il rimborso delle spese materiali di produzione delle mere\ e delle derrate esportate, costituisce un profitto netto che rimane in Italia, ed a cui non si contrappone alcuna perdita dell'erario nazionale. Ci vuole davvero poca pena per comprendere che i capitali italiani impiegati a produrre del vino, della frutta, dell'olio, del bestiame e della seta, rendono naturalmente m~lto di più che non renderebbero, se fossero esportati ed investiti in imprese favorite e sovvenzionate dal Governo per pescare i meriblioteca vino Bianco
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