IL FASCISMO A TORINO 167 grandi minacci e contro la Stampa e l' Ordif!,e Nuovo, ma i fascisti torinesi diventavano a mano a mano famigerati per la loro mancanza di attitudini persino alla lotta violenta. L'Ordine Nuovo uscì indisturbato mentre bastavano cinquanta persone di coraggio per attaccarlo e distruggerlo come era prop'osito dichiarato dei fascisti, dopo che la polizia lo aveva disarmato. Il proletariato torinese rimaneva, nonostante la disfatta, dignitosamente al suo posto senza avversari di· fronte. Nè era disposto ad ascoltare le lusinghe di social-democratici tipo Gioda o Gorgolini. Il solo elemento favorevole al fascismo in questo tempo poteva essere una generica simpatia da parte delle classi medie suscettibili di illusioni per la loro stessa poca serietà politica. Si vuò dunque obbiettivamente ritenere che un movimento fascistà organizzato abbia avuto inizio solo dopo il 30 ottobre per effetto della situazione politica italiana più che per èsigenze autonome. Basti ricordare che ancora nell'autunno l'ultimo tentativo per fondare un giornale fascista quotidiano annunciato da parecchi mesi, Il Pienionte, era miseramente fallito non essendosi trovato per la direzione uomo migliore del famigerato Piero Belli. Dopo l'ottobre è cominciato un movimento sindacale che si è svolto assai rapidamente approfittando dello scioglimento di fatto del partito co1nunista. Le basi di questo moviménto sono assolutamente equivoche: il gioco più comune parrebbe sinora quello di aumentare i gregari favorendo i salariati a danno dei piccoli e medi industriali, ma abbandonandoli poi di fronte ai grandi industriali coi quali· il fascismo ha impegni itnprescindibili. Siffatta politica è seguita però disordinatamente da uomini itnpreparati, venuti improvvisamente dalla Università o dal giornalismo dilettante. Uno dei casi tipici per definire il parassitismo che si sta i1nponendo per questo mezzo fu la recente vertenza dei panettieri : i fascisti accontentarono gli operai imponençlo -contratti di lavoro ad essi favorevoli contro i proprietari; capito il gioco i proprietari si iscrissero in massa nelle Corporazioni ed ora proprietari ed operai d'accordo minacciano la serrata se non si abolisce il calmiere. Un equivoco di questo genere è così grossolano che la sua vitalità non può non essere effimera. Data la fisionomia industriale della città il proletariato non abbandonerà neanche momentaneamente le sue diffidenze se la politica sindacale del fascismo· non si schiererà con decisione contro la grande industria. Ma i grandi industriali torinesi, che hanno in1posto Teofilo Rossi ministro d' Industria nel governo fascista, non nascondono di poter confidare pienamente sul governo di Mussolini per la soddisfazione delle loro esigenze. È chiaro del resto che questi spunti di azione economica dovrebbero -essere sostenuti da una visione politica generale. Invece il fascismo torinese non ha mai fatto e non può fare della· politica. I suoi uomini (Bardanzellu, M. A. Levi, ecc.) sono tutti dell'ultima ora, reciprocan1ente diffidenti e indecisi. S'aggiunga il grande equivoco e la grande confuiblioteca Gino Bianco
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