La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 35 - 10 settembre 1908

io tassi di attaccar discorso colle guardie non riuscivo a far loro a- prire bocca. I due romagnoli tacevano; solo pareva parlassero tratto tratto a voce sommessa e si facessero segni l'un l'altro. — Io seguitavo a chiedermi ove mai potessero condurmi e non ve- devo nulla di buono in questo affare. Mi ritornava alla mente ciò che avevo letto i giorni avanti sui giornali, e cioè che parecchi individui, noti come garibaldini, che venivano scoperti in Firenze, erano arrestati e portati provvisoriamente nelle fortezze: si du- bitava perfino fossero tratti a Mantova o a Verona. Mentre ero agitato da questi pensieri ed imprecavo a questa brutta avventura che mi poteva impedire — ed era questo il guaio maggiore — di partecipare alla campagna, certo immfnente, di Garibaldi, andavo ognor più accarezzando un' idea che mi era sorta fino al momento dell'arresto, quella cioè di fuggire. Ma co- me effettuarla? Fino allora non mi si era offerta occasionea.lcuna per mettere:in pratica il progetto, nè sembrava doversi presentare: è vero che eravamo in tre, mentre due sole erano le guardie, ma queste erano armate e noi no, e poi i due romagnpli sembravano molto rassegnati al loro destino. Però abbisognava mi decidessi: potevamo da un momento al- l'altro giungere a destinazione ed allora, addio fuga. Il treno marciava verso l'alta Italia e si Avvicinava man mano a Bologna come potevo dedurre dalle diverse fermate. A Bologna, avevo molti amici, conoscevo bene la località e tali condizioni erano per me le migliori per un tentativo di fuga. Feci il mio progetto, deciso ad effettuano subito a qualunque Costo. Allorchè il treno cominciava a rallentare la sua corsa per la fermata, io offro con indifferenza un sigaro alla guardia che mi stava al fianco e, assieme al sigaro, la scatola dei fiammiferi : mentre egli si china al disotto del finestrino per accenderlo, colgo il destro e, con un salto mi slancio fuori del finestrino stesso. Il treno proseguiva la sua corsa, vidi aprirsi la portiera e la guar- dia affacciarsi. Allora mi ritrassi, strisciando a terra, dietro una doppia fila di vagoni. Mi sentivo ferito in alcuni punti, al go- mito e ai ginocchi: l' abito era a brandelli, i calzoni imbrattati di fango. Oltrepassati i vagoni mi appiattai in mezzo ad una ca- tasta di carbone e là stetti ad aspettare. Vi rimasi immobile per tre ore, sotto un diluvio di acqua che, inzuppandomi fino alla camicia, finì di acconciare la mia toeletta. Non vidi per fortuna nessuno: o non si dessero briga di cercarmi o non mi trovassero, fatto sta che non venni molestato. Erano circa le quattro del Mattino, quando uscii dal mio na- scondiglio in uno stato veramente deplorevole. Mi diressi con

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