La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 32 - 20 agosto 1908

18 E' morú il polt 1:thrgurl 051g1 E' morto Giuseppe Chiarini e la stampa della cortigianeria mor- tuaria ha adagiato anche lui nel letto soffice degli aggettivi su- perlativi che vorrebbero eternargli il nome nella letteratura ita- liana. Ma non basta il letto della gloria se chi vi è adagiato non ha contenuto col quale nutrire la posterità. La fama del Chiarini è di carta pesta. E' in frantumi prima che gi,unga al cimitero. Senza la sua amicizia per il Carducci sarebbe forse passato da noi come un insegnante, un professore, un pe- dante, un altolocato del dicastero della pubblica istruzione. E senza le < memorie della vita > del poeta barbaro, piene di bri- ciole epistolari, di ricordi personali e di cronaca racimolata nelle memorie degli altri, sarebbe dimenticato come un Maineri qua- lunque. Non c'è contenuto in lui. Non c'è modernità. Non ha capito il suo tempo. Tutto ciò che vi è stato di grande, di personale, di vigoroso, è stato per lui roba marcia, roba ripugnante, roba da cloaca. In Zola, l'uomo che è sulla colonna mondiale come l'ini- ziatore del romanzo che porta nei fianchi fecondi l'avvenire, non ha veduto che porcherie, non ha fiutato che cattivi odori, non ha sentito che disprezzo. Conservatore in politica e in letteratura, ha odiato la gioventù che non ha avuto i suoi entusiasmi per il classicismo assoluto e non ha venerato, come lui la prosa vestita fino al collo delle lettere alfabetiche. Per dileggiarla e vilipenderla l'ha mandata nel letamaio come vi ha mandato Zola. In tempi in cui c'era direi quasi la ri- voluzione nel libro e nel giornale, egli non ha saputo che fare il codinone, il bigottone, il bacchettone della morale marciosa. C' è stato un momento in cui è parso a tutti un doganiere furioso. Tutti ricordano i suoi dispetti, i suoi disgusti, le sue indigna- zioni contro l'arte di scrivere le cose come sono, arte ch'egli chia- mava « corruttrice e infame ›. « Questo fango che sale sale sale da certa letteratura finisce con eccitare lo schifo Parlando di D'Annunzio ch'egli aveva poco prima presentato al pubblico, ha detto ch'era un « porcello che meritava si occupasse di lui la questura. Lui non poteva soffrire che un poeta potesse « ucci- dere la sua forte e barbara giovinezza in braccio delle femmine o cercasse l'oblio fra < pazze e infide voluttà* o narrasse i lun- ghi languori che snervano. Diceva che tutte queste cori° erano

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