La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 26 - 9 luglio 1908
7 quel via vai, a quella lanterna magica di belle donnine scelte su tutti i gradini della scala sociale, egli non fu mai ferito al cuore. Il cuore suo, e ciò parrà strano benché sia verissimo, l'aveva dato tutto a Maria Adelaide e non glielo tolse mai. A lei la fiducia il- limitata, l'ammirazione rispettosa e appassionata, a lei tutta la sua tenerezza, tanto che non ne rimase più per nessuna, nem- meno per quella donna che durante parecchi anni fu, più ancora della duchessa, compagna della sua vita, madre di altri figiuoli, e che in ultimo egli sposò morganaticamente (1). A Maria Adelaide serbò sempre il meglio di sé medesimo, senza farsi valere per quel che non era. Con lei non ebbe segreti; cer- tamente non diceva tutto, ma soltanto perché quel tutto sarebbe stato una lunga, forse monotona, certo sconveniente litania per le caste orecchie di lei. Il molto che Maria Adelaide seppe, lo per- donò, persino lo giustificò; mistero di suprema indulgenza e di bontà, certo non facile a intendere e neppure a immaginare da chi non si è trovato, come me, tra le due esistenze di Vittorio Emanuele: quella della reggia e quella di fuori. - La sola persona che avrebbe avuto il diritto di condannano se ne astenne, ed oso dire che fece bene, dando così prova di tatto finissimo, di perfetta conoscenza dell'indole di suo marito e delle esigenze affatto eccezionali della sua ardentissima natura. Per parte mia (senza erigermi a mentore del Duca prima ch'egli si sposasse, e tanto meno dopo) mi provavo di trattenerlo in certi slanci inopportuni. I tredici anni che avevo più di lui e l' affet- tuosa famigliarità con la quale mi trattava, mi permettevano di parlargli con tono di franchezza autorevole. Debbo però dire che, quantunque io non voleasi farmi guida responsabile degli atti del (1) Negli anni 1814 e 1815, allorchè mi recavo, accompagnato dal servitore ed insieme con qualcuno dei miei fratelli, non pia a vedere i prigionieri spagnuoli che lavoravano por fabbricare il ponte sul Po, ma a passeggiare lungo i viali, assistevo pure talvolta sui bastioni alle esercitazioni militari. I soldati usciti dalle caserme arrivavano con la loro banda ed apriva la marcia alla musica un colossale tamburo maggiore, bellissimo uomo che attirava tutti gli sguardi, mentre i soldati erano occupati e la musica e i tamburi tacovanv, egli passeggiava in su e in giù, fermandosi talvolta presso i bambini che, come me, lo guardavano con occhi pieni di curiosità e di ammirazione ; sorrideva, si chinava, prendeva l'uno o l'altro, e solle- vandolo per aria, se lo metteva a sedere sulle larghe spalle. A quello pareva d'essere sulla vetta d'un monte o sull'alto d'un campanile, e tutto giulivo, batteva le palme per il piacere. Il Vercellani, cosi si chiamava il tamintho maggiore, attirava tutti i nostri sguardi e tutta la nostra simpatia. Trenta anni più tardi, ritornando un giorno a Itacconigi col duca,-al seguito di Carlo Alberto, dopo una rivista passata dal re al reggimento dei Granatieri Guardie, di passaggio nelle vicinanze, riconobbi sul terrazzino di una mo- desta casa il Veroallani, con a fianco una bellissima ragazza di circa 16 anni; era sua figlia; /a bella Rostna, la futura contessa di Miraflore.
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