La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 11 - 26 marzo 1908
32 sero nuovi? Perchè già gli abiti frusti non si sa mai chi li abbia indossati! Un tignoso, uno scrofoloso, un tisico, una gola marcia, delle gambe piene di piaghe. . Facciamo a modo mio, le trattenute saranno più lunghe, ma starai meglio. Non c'è voluto molto a capire il temperamento del fratello. Egli era avaro come un giudeo. Due dita di cordi- cella buttata in terra lo esasperavano e nella furia di- ceva che si faceva di tutto per mandano in malora. Aveva altisonanti maledizioni per il suo mestiere. Sarebbe stato meglio che si fosse messo a lustrare le scarpe che invecchiare in mezzo a tanta carta straccia che gli faceva mangiare polvere e rabbia per il bel gusto di istruire la gente. Citava i nomi dei librai che lo avevano preceduto sul campo dei fallimenti giudiziarii e incro- ciava le braccia con la faccia congestionata come se fosse stato all' orlo della catastrofe. Un giorno o l'altro lo, si sarebbe veduto vicino a qualche chiesa con la mano tesa ai passanti. Infarciva in ogni contratto ver- bale la sua grettezza rognosa, dicendo a tutti che i « tempi erano cambiati » — tempi che lo autorizzavano a dare quasi nulla a chi vendeva e a tirare la pelle in testa a chi comperava. Per le compere grosse mi conduceva con lui con i sacchi e la funicella per le- garli. Aveva momenti drammatici. Alto come un para- carro, passeggiava avanti e indietro ai mucchi di libri o alle librerie spalancate ora con le mani in tasca e ora con le dita che si accomodavano i capelli *alle tempia. Sedata la collera nata sulla domanda del ven- ditore prendeva il cappello e mi diceva in un modo brusco di far su i sacchi che non c'era niente da fare. Era il suo modo di deprezzare la merce. — Signor Torriani, non vada in collera. Noi non abbiamo mai venduto libri. (Continua)
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