La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 11 - 26 marzo 1908

29 API•ENDICI, LtA VITA TUR130hENTA lJ1iMorrno I-IENDERSON La denutrizione mi aveva raffinati i sensi. Avevo una sensibilità che avrei potuto udire l'urto di due moscerini o la caduta di un ago. Mentre l'ornino aspettava la mia risposta riprendendo la penna con la testa curva sul registro io assistevo alla zuffa intellettuale. Sciami di idee contro sciami di idee. Idee rosse, idee azzurre, idee paonazze, idee gialle come la bile, idee nere come il colera che si sorprendevano e si aggredivano e scompa- rivano a ogni mia distrazione cerebrale, come i fuochi fatui nei movimenti della luce. Era il primo momento d'esaltazione dopo la mia rientrata nella strada. E' un idiota, borbottava l'ornino scrivendo. Andrà bene con mia sorella. E sua sorella era seduta su un cas- sone rovesciato che spolverava un volume dopo l'altro svogliatamente, più per far vedere che faceva qualche cosa che per lavorare. Nella penombra mi pareva più vecchia degli anni che aveva. La polvere adagiata leg- germente sui capelli era uno strato bianchiccio che le dava un'aria di donnicciuola ammuffita nell'atmosfera dei libri. La sua testa traduceva l'ambiente. Metteva freddo, intristiva, ricordava il dolore. Pelle vizza, in- giallita come le vecchie pagine dei libri che ammuc- chiava, occhi che parevano semi spenti per il polve- riccio disperso per gli archi pelosi e sulle punte dei peli delle palpebre, bocca scolorata come quella d'una morta. Una figura spettrale uscita dalla sepoltura, ingrigiata dall'umido che si coagula nelle fosse. Di vivo non aveva che i fianchi. I fianchi erano spettacolosi. Difatti chia- mata dal fratello le cadde dalla persona più di mezzo secolo. Con due sbattute di grembiale e una fregata di

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