La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 4 - 6 febbraio 1908

' 11 Vere che aveva fatto tanto scalpore era stato fatto dimenticare dall'Intermezzo di rime, un libricino sommarughiano che ha sollevato una bufera. Giuseppe Chiarini che lo aveva presentato al pubblico e gli aveva spalancato gli usci del mondo intellet- tuale ha mandato pubblicamente in frantumi il suo capolavoro e ha denunciato Gabriele D'Annunzio alle questure italiane come il massimo dei pornografi. Diceva il grande professore che aveva tradotto Heine: « Un galantuomo, che ha che fare con la poesia, oggi com'oggi deve stare sempre con la paura d'avere le mani un po' sudice; perché non mai come oggi l'arte di mettere insieme delle parole in forma e suono 'di versi si è dimostrata corruttrice ed infame. Questo fango che sale sale sale da certa letteratura, e specie da certa poesia, contem- poranea, finisce col mettere in. diffidenza anche le anime più tranquille, con eccitare lo schifo anche nella gente più di ma- nica larga. Tre anni fa io ebbi la cattiva ispirazione di lodare i primi saggi poetici di un giovinetto, che mostrava qualche (son io che sottolineo) attitudine a fare dei versi. Codesto giovinetto ha seguitato a farne; pur troppo: ed è arrivato a farne di così splendidamente osceni, da meritare, poiché li stampa, che di lortí si occupi, non la critica, ma la questura ». La terribile requisitoria contro il colorista e il melodista che animava i paesaggi che descriveva con i colori accesi della ta- volozza michettiana ha fatto nascere una polemica intorno alla poesia invereconda, iniziata dal Lodi e continuata da quasi tutti gli scrittori di quel tempo. D'Annunzio è un lavoratore poderoso. Intanto che gli altri discutevano s'egli doveva essere chiamato il « poeta porco » o il primo giovane poeta d'Italia, mandava in giro una Prosa (Terra vergine) tutta colori, tutta luce, tutta splendori, densa d'immagini, scintillante come l'acciaio al sole, esalante profumi selvaggi che ubbriacavano e davano il capogiro. lo mi fermo ai vent'anni. Perché D'Annunzio lungo i suoi trent'anni di lavoro ci fa passare di sorpresa in sorpresa. Un giorno io lo odiava — come odio tutti coloro che odiano le folle per fare dell'estetismò o per darsi l'aria di superuomini o per umiliare coloro che hanno dovuto lavorare tutto il periodo che i fortunati consumano alle scuole. D'Annunzio le aveva vilipese e disprezzate, chiamandole collettivamente « la gran bestia». Più tardi egli ne è divenuto il glorificatore delle loro energie; è passato, alla Camera, dal settore dei morti al settore dei vivi e ha celebrate le gesta di Garibaldi, dedicando la canzone « ai supestiti dei mille». D'Annunzio ha la tronfia consapevolezza del suo valore. Ila insultato a sangue la « vil canizza gazzettante », e dicendo che era stufo di vedersi tanti stercorarii intorno alle gambe è scoppiato: « .... io sono il maestro che per -gli italiani rias- sume nella sua dottrina le tradizioni e le aspirazioni del

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