La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 2 - 23 gennaio 1908
32 I nostri abbracciamenti sentivano sempre delle pri- me giornate. Se Paolo ritornava dal forno spossato a dirci che aveva lasciata al suo sostituto la cura di continuare le cotture, allora Emma gli suggeriva due dita di con- sommé con su tanto di gelatina o due uova al tegame o un'ala di pollo e si improvvisava il cenino che alle- stivamo tutti assieme in un attimo, gareggiando fra noi di sollecitudine. Emma andava alla credenza e ai fornelli, Paolo in cantina, io al buffet. Distendevo la tovaglia che non era stata mai in ta- vola, mettevo a posto i tovaglioli, le posate, i bicchie- ri, i piatti, gli stuzzicadenti, la saliera di cristallo e sovente rallegravo la tavola con la bracciata di fiori freschi che toglievo dai vasoni di porcellana istoriata, nei quali si conservavano dalla mattina alla sera. Tap- pati in una cucina ampia e pulita, abbondantemente illuminata dalla luce a gas, scaldata dalla stufa, seduti tutti e tre al tavolo di quattro persone gustavamo i piatti che Emma metteva in tavola con una delizia sco- nosciuta ai frequentatori di restaurants di alto bordo. Il privilegio di stappare le bottiglie e versare il vino con la religione dei bevitori sapienti era di Paolo. Prima di darcelo ne guardava e ne fiutava il tappo, ne assaggiava una goccia per paura che fosse andato a male e poi con la bottiglia sempre alla stessa altez- za, prendeva i calici, li piegava e li riempiva rialzan- doli adagio adagio fino a quando il vino era a un certo punto sotto l'orlo. All'aragosta facevamo una festa da ghiottoni- Emma sapeva farla uscire intiera dal guscio e deporla in un piatto ovale e finissimo, circondata di lattuga ancora altezzoza e di fette grosse di limone tagliate sotto i nostri occhi. Il formaggio era eliminato dalle nostre cenette. Ma qualche volta, quando Emma ci faceva vedere il gra- na luminoso e imperlato di lagrime, ci arrischiavamo a tagliarne dei pezzetti per invogliarci a vuotare qual- che altro calice. (Continua).
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