La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 1 - 16 gennaio 1908

7 di borsa, con i prestiti usuratizii, con la volontà, con l'inerzia, con la scaltrezza, con l'inganno, con la furberia con la spen- sieratezza, con la prodigalità e con l'ingegno di tutti i tempi. Nella testa di Balzac si è come in una enciclopedia. Se da un incendio non si fosse salvata che la biblioteca balzachiana noi tutti avremmo potuto ricostruire la Francia del XIX secolo, senza perdere, una figura, un mobile, un edificio, un abito, .un intingolo. un veicolo, una pettinatura, una camicia da notte, una moda, un Vocabolo per ambientarla. E come non è possibile epitomizzare il gigante che ha av- viato il romanzo sullo stradone del verismo che diminuendolo, così non è possibile plasmare o profilare o fotografare intellet- tualmente l'uomo dalla testa piena dl anomalie geniali che penetrando nella sua grandiosa concezione. Sinora l'artista non è venuto — l'artista che sappia capire il lavoratore formidabile che ha riversata la vita di tutto un popolo nell'argilla modellata con le sue mani, colorita con la sua tavolozza, portata sulla piattoforma con le sue braccia, drammatizzata e fusa nel bronzo dei suoi pensieri. Tranne la statua di Rodin, non abbiamo avuto che aborti. La testa di Balzac era una testa possente, tutta ammantata di bellezza intellettuale, con una capigliatura voluminosa e nera come il carbone, mescolata di fili bianchi che traducevano le sue notti. di composizione, con il suo faccione rotondo, car- noso, pieno, illuminato da pupille più nere dei capelli, violen- tato dai colori che si succedevano passando dal giallo puro al rosso acceso, con le sue labbra sensuali e sature di sangue vivo, con i peli disseminati per le guance che gli davano un'aria di eignale giocondo, con le sue spalle da pugilatore nel saio di panno bianco che lo lasciava credere a tavolino un personaggio di monastero. Tra lui e gli altri c'era la differenza che passa tra il nano e il colosso. Balzac torreggiava, signoreggiava, ingigantiva .dappertutto. La sua voce si faceva udire in ogni sala, fosse dai Roschild o al Very, il restaurant degli eleganti della Parigi di Luigi Filippo. Le sue risate che prorompevano clamorose gli carica- vano il collo di salute e gli scoprivano i denti solidi, come se avessero voluto partecipare anch'essi, cori la loro bianchezza, alle sue eruzioni convulsionarie. Bastava vederlo a tavola. Man- giava a quattro ganasce, con ingordigia. Divorava la carne tino all'osso, vuotava i bicchieri colmi di vini prelibati d' un fiato, voltava via più di una alzata di frutta tra una facezia e l'altra, beveva una, due, tre tazze di moka conversando, fumando, mettendo -tutti di buon umore. Non ha avuto la malinconia di diventare vegetariano che una volta. Stava scrivendo un trattato sugli eccitanti moderni e diceva agl'invitati che i legumi erano pasti nutrienti che mantenevano libera la mente da ogni pesantezza o torpore. . Fra gli invitati erano Théophile Gautier e Gerard di Nerval.

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