stare, all'interno della fabbrica, i diritti sindacali e di contrattazione. La crisi - ed il successivo assetto interno della borghesia che ad essa segul - ebbero un duplice effetto sull'atteggiamento dei lavoratori. Da un lato forze considerevoli del sindacato di classe - in particolare le correnti comuniste e socialiste - si lasciarono irretire nella cosiddetta politica di « programmazione » varata dal centro-sinistra (vi fu, al Parlamento, l'astensione sul documento del programma, da parte dei deputati sindacalisti del Partito comunista, mentre lo stesso PCI votava contro). Il risultato fu un'insuf!iciente spinta operaia nel biennio '65-'66 che, in ultima analisi, permise alla borghesia italiana di attuare pienamente lo « sciopero degli investimenti » ed adagiarsi su un ritrovato monolitismo interno che produrrà, ultimo dei suoi sottoprodotti, la liquidazione del « centro-sinistra». Abbiamo visto come la caduta degli investimenti fosse contemporanea alla grande apertura dell'Italia sui mercati esteri, essendo assicurata la concorrenzialità delle nostre merci da bassi costi conseguenti all'aumentata produttività del lavoro: fu innescato cosl quel processo di crescita « perversa » che era garantito, in fabbrica, da un netto peggioramento delle condizioni lavorative . Caduta degli investimenti e diminuzione della occupazione industriale e, contemporaneamente, aumenti di produttività fra i più alti della storia industriale italiana: tutto ciò, tradotto in soldoni, voleva dire maggiori ritmi, aumento della nocività in fabbrica, aumento degli incidenti, maggior torchiatura degli operai occupati. Ma proprio qui si innesca il secondo effetto. Gli anni della crisi dimostrarono, in ultima analisi, come avverse condizioni del mercato del lavoro non fossero sostanzialmente un freno alla lotta degli operai occupati. Infatti nel '68-'69 la situazione del mercato del lavoro non era sostanzialmente migliore di quella di qualche anno prima - ma, forse, peggiore -, purtuttavia esplosero, fortissime, le lotte dei lavoratori contro gli effetti che, in fabbrica, aveva avuto l'intensificazione dello sfruttamento capitalista. Se si è seguito quanto argomentato fin qui , apparirà chiaro come, • per la borghesia italiana, la fabbrica rappresentasse il punto di minor resistenza in una struttura di capitale sempre più orientata a porsi fuori dell 'attività produttiva manifatturiera . Ci preme sottolineare questa contraddizione: da un lato abbiamo una borghesia che, nel suo complesso, sposta il suo centro di gravità, politico ed economico, sempre più nell'attività finanziaria e di speculazione (il dissesto industriale della Montedison non le impedisce di com58 Biblioteca Gino Bianco
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