l'organizzazione clandestina. E, da questo punto di vista, è una parola d'ordine antiavventuristica del tutto giusta, dal momento che rispecchia il livello reale dello scontro, i rapporti di forza esistenti tra le classi. Uscendo dalla legalità oggi il proletariato sarebbe schiacdato dalla sua debolezza e dalla forza dell'avversario; il livello di unità, di coscienza, di preparazione delle masse, comunque, non è tale da consentire uno scontro frontale . Naturalmente , questa indicazione di lotta non sarebbe più accettabile se, anziché riferirsi ad una congiuntura politica concreta, volesse prefigurare strategicamente, definitivamente, una via pacifica al socialismo in It alia (o in qualunque altro paese). Saremmo di fronte, in tal caso, ad una smaccata regressione al kautskismo, che il movimento operaio ha ormai riconosciuto come una posizione da « rinnegati ». In secondo luogo, questa parola d'ordine indica al movimento operaio la necessità di fare pieno uso della legalità e delle istituzioni borghesi per meglio lottare . È questo un principio ovvio e ormai acquisito del leninismo, che non è il caso di ribadire. È appena opportuno far notare che l'astensionismo (di tipo anarchico, di tipo bordighista, ecc.) è un'ideologia integralmente al servizio della borghesia: tende infatti ad escludere i rappresentanti operai e popolari dagli organi elettivi, col solo risultato di lasciare nelle mani delle classi dominanti un potere ancora più saldo e incontrastato. Questa ideologia espressa ancora nel maggio 1972, alla vigilia delle elezioni anticipate, dal gruppetto reazionario che si fa chiamare « Lot ta comunista », non faceva in quell'occasione che riflettere l'aspirazione della borghesia più reazionaria ad avere, anche formalmente, in un momento di crisi acuta, « tutto » il potere, la massima libertà di azione. In terzo luogo, questa parola d'ordine prefigura alla lotta di classe obiettivi interni alla legalità, al sistema istituzionale (e, in particolare, costituzionale) esistente (ad es.: obbiettivi di innovazione legislativa e/o di governo, non di potere; ecc.). Anche sotto questo aspetto è facile trovare alla « lotta democratica » valide giustificazioni: per esempio, quella per cui il movimento operaio deve saper concretizzare le sue conquiste politiche anche nelle forme istituzionali della democrazia borghese (e quindi in «leggi», in partecipazioni al « governo » dei suoi partiti, in « riforme »); e ancora quella per cui in questa fase della lotta non è possibile proporsi obbiettivi di potere, dato il livello qualitativo del movimento, data la congiuntura politica, ecc. E tuttavia non sempre queste ragioni (giuste) vengono portate a sostegno della lotta democratica per obbiettivi 389 Biblioteca Gino Bianco
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