In primo luogo è da notare come i tassi di investimenti assoluti siano stati in Italia sensibilmente inferiori a quelli degli altri paesi imperialisti « concorrenti » e come, durante l'ultimo decennio, tale gap si sia sensibilmente accresciuto, facendo segnare, sul lungo periodo (1960-1970) i minori tassi di aumento di tutto il MEC. All'interno degli investimenti globali è possibile notare come la proporzione dell'investimento in costruzioni sia estremamente elevato: a prezzi correnti, nel •~1, il rapporto fra investimenti in costruzioni ed investimenti totali era del 43,6% (e del 19,7% quello in abitazioni), nel '55 i rapporti erano 54,2 (e 27,5) , nel '63 56,1 (e 30,2% ), nel '65 la quota balza al 65,6% (35,8) per poi stabilizzarsi, negli anni successivi a valori molto simili a quest'ultimo. È da ricordare, infine, che per 4 anni dell 'ultimo decennio (196465 e 1971-72) gli investimenti privati sono crollati, assistendo a massicci disinvestimenti (l 'ultimo, in termini reali del 10% circa!). Possiamo assumere questi (e cioè l'essere diventate le esportazioni e l'edilizia i settori trainanti dello sviluppo italiano nell'ultimo decennio di crescita « perversa » dcli'economia italiana) come elementi tipici e caratterizzanti dell'economia e della società italiana: essi sono strettamente connessi con la caratteri zzazione interna della borghesia italiana, quale quella descritta nelle pagine che precedono, e alla posizione che è venuta assumendo l'Itali a nella divisione internazionale del lavoro. Graziani e i suoi allievi 12 hanno analizzato in modo particolarmente efficace il meccanismo di « apertura » di una economia in fase di sviluppo imperialista, come quella italiana: basti ricordare che il rapport o fra la somma delle importazioni ed esportazioni ed il reddito nazionale (a prezzi costanti) passa dal 13,6% del 1951 al 47% del 1971! Il punto di partenza di Graziani è che il « dualismo » - tecnologico, produttivo, settoriale e geografico - tipico della struttura economica italiana non derivi, come vuole V. Lutz ed in genere la scuola liberista italiana, dal dualismo del mercato del lavoro, ma, piuttost o, da esigenze di competitività verso i mercati esteri. Dopo la caduta del fascismo l'economia italiana si andò sempre più aprendo verso i mercati esteri. Un paese in via di sviluppo abbisogna di ele,;are rapidamente il suo tasso di accumulazione: ciò è assicurato da un'elevata crescita della produttività del lavoro, che a sua volta è assicurata soltanto da un rapido incremento delle importazioni di beni d'investimento. Per poter mantenere in equilibrio la bilancia 37 Biblioteca Gino Bianco
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