menti di verifica di quanto più sopra si è affermato, e cioè del sostanziale monolitismo della borghesia italiana e degli altissimi livelli raggiunti dalla centralizzazione del capitale. Per quest'ultimo punto si ricordi soltanto come nel 1968 lo 0,53% delle società per azioni detene sse il 31,7% dell'intero capitale, con un rapporto di concentrazione superiore a quello degli stessi USA (30% ). Per quello stesso anno gli immobilizzi tecnici lordi di queste imprese rappresentavano il 71,4% del totale. Questa concentrazione di capitali, invero straordinaria, è certamente anche il risultato del tipo di sviluppo storico del capitale italiano che aveva trovato nel regime fascista la sua sublimazione economica sociale e politica. Stando ad un documento spesso citato da R. Romeo 18 ed inviato a Mussolini il 24 novembre 1933 (alla conclusione della « grande crisi » dunque ), vi si legge : Mi è consentito dimostrare a V. E. che malgrado le apparenze contrarie, l'Italia è un paese ad intensa concentrazione di capitale? Più degli stessi Stati Uniti e ciò non per un vero e proprio accumulo di sostanze colossali, quanto per l 'intreccio delle fila del comando. Ettore Conti, alla vigilia della guerra, noterà come i nomi di Agnelli, Cini, Volpi, Pirelli, Donegani e Falck e pochi altri dominavano letteralmente tutta l'indu str ia nazionale. Crollate le banche con le loro prevalenti partecipazioni azionarie alle grandi industrie nel triennio 1929-1933, costituito l'IRI e sancita la rigida separazione fra banche ed industrie, il capitale finanziario italiano si articola attorno a « poli » costituiti, per l 'essenziale, dalla Pirelli, la Montecatini, la Fiat, le società elettriche, Edison in testa, la Falck, la Snia Viscosa. A livello produttivo viene rafforzato il carattere prevalentemente monopolistico dell'industria italiana (ognuna delle società citate è l'unica produttrice - o è alla testa di un consorzio - del settore in questione); per completare il quadro basterà ricordare le holding puramente finanziarie, quali le « Assicurazioni Generali » e le « Strade Ferrate Meridionali », nel consiglio di amministrazione delle quali siedono i rappresentanti dei più potenti gruppi italiani non irizzati, quali la Edison e la Sip, la Montecatini e l'Italcementi, la Burgo e la Pirelli. Con l'eccezione della Fiat - . che comincia a preoccuparsi di investire all'estero - le « Strade Ferrate Meridionali » si qualificano come il consiglio di amministrazione del capitale finanziario italiano, all'interno del quale si delinea il netto prevalere delle aziende che producono e distribu iscono l'energia elettrica. Ciò che qui vale la pena di notare è come Biblioteca Gino Bianco 25
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