operaia indicano al paese, sebbene non sia oggettivamente matura la possibilità di trovare canali di comunicazione fra il come sono posti quei problemi e il compito conoscitivo dell'università. Né si comprende quanto sia stretto il nesso politico fra destino di emarginazione e dequalificazione delle Facoltà di Architettura e mancato avvio alle riforme della casa e della sanità, nell'unitarietà di un disegno governativo tendente a comprimere l'antagonismo che la messa in moto delle riforme sociali e il coagularsi di lotte e di elaborazioni politiche di diversa provenienza attorno ad esse determinerebbero. Vengono ancora una volta in luce i nodi non sciolti nel passato e quindi ancor più solidi e intricati che fanno da principale ostacolo a una rinnovata funzione della Facoltà: si tratta, come abbiamo visto, del fiato dato dal piano del 1968-1969 ai docenti del vecchio professionismo e delle materie pseudo scientifiche, non solo, ma dell'adeguamento quasi generale delle forze produttive all'atomizzazione dell'attività didattica 24 • Una tale resurrezione della Facoltà tradizionale ripropone una vecchia scelta: registrazione meccanicistica di una relazione univoca fra arretratezza degli sbocchi professionali, del resto aleatori, per i laureati architetti e studi ridotti a mera funzionalità per una minima qualificazione professionale. Nel contempo, essendo comunque insufficienti i posti di lavoro nei settori tradizionalmente competenti all'architetto rispetto alla capacità di laureare nelle Facoltà (nel 1970 sono ormai circa 2.400 gli iscritti nella sola sede di Milano ), il corrispettivo nella realtà sociale della dequalificazione è dato dalla disponibilità di un nuovo settore lavorativo per sub-occupati: circa il 50% dei laureati in architettura vanno ad insegnare applicazioni tecniche nella scuola media 25 • Emerge tuttavia nel corso del 1970 una contraddizione importante. Alcuni docenti, raccogliendo la critica degli studenti circa la « Facoltà inesistente » 26 , sono costretti a mettere in gioco la propria immagine di depositari della disciplina, ad accettare di vivere una propria crisi nella crisi della scuola. La loro posizione antiprofessionalistica, già verificata nell'attività didattica disciplinare, è denominatore comune e punto di partenza per offrire un proprio punto di vista circa gli obiettivi conoscitivi e formativi, o almeno circa la situazione congiunturale della Facoltà in rapporto al paese, e per superare l'isolamento all'interno di una Facoltà tenuta in frigorifero dal tipo di gestione in atto, cioè a sua volta isolata dalla società e dalle lotte della classe operaia. In altre parole questi do189 Biblioteca Gino Bianco
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