Classe - n. 7 - luglio 1973

che permette un'azione comune pet fini comuni. In questo senso il presupposto dei quartieri monoclasse sembrerebbe assolvere pienamente al requisito di aree omogenee e quindi favorenti la partecipazione. Ma un altro e più determinante presupposto della partecipazione politica è, secondo Pizzorno •, la coscienza di classe che risulta a sua volta promossa dalla partecipazione politica. Del resto uno stato di coscienza di classe non è riconoscibile indipendentemente dall'azione che obiettivamente gli corrisponde: organizzazione, lotta di classe, movimenti collettivi rivoluzionari; ed è legato ad un altro elemento condizionante: la centralità o la perifericità dell'individuo nel processo sociale. Per Pizzorno la partecipazione politica e quindi la coscienza di classe è tanto più alta quanto più centrale risulta la posizione sociale dell'individuo. Per centralità si intende una situazione in cui oggettivamente e soggettivamente l'individuo sia inserito nel processo sociale che lo coinvolge ed agisca e partecipi al suo evolversi e al suo modificarsi. È evidente che non si può stabilire a priori la centralità o meno di una posizione individuale rispetto ad una certa situazione, diverse variabili intervengono di volta in volta a determinarne la significatività. Per tornare alla partecipazione alle lotte urbane, possiamo avanzare l'ipotesi che esse si verifichino proprio come negazioni ad una forzara « perifericità », che si traduce politicamente in allontanamento dai centri decisionali e fisicamente in esclusione da forme di vita « centrali ». Là dove questo processo non si innesca possiamo supporre che esistano due tipi di situazione: a) isole sub-culturali integratrici; b) apatia politica radicata. Nel primo caso, nei quartieri si formano sistemi di solidarietà che accettano di fatto i valori della società globale (nel nostro caso lo sfruttamento della città-capitalistica) e ne elaborano anche altri che permettono ai membri di isolarsi, nella loro condizione d'inferiorità, dalle conseguenze che rapporti con il resto della società (anche di tipo conflittuale) potrebbero avere. Gli individui, in questo caso, pur trovandosi oggettivamente e soggettivamente in condizioni difficili e degradanti, non traducono questa loro percezione in coscienza, e preferiscono rinchiudersi in forme di partecipazione aÙ'interno del loro ghetto, dell'area omogenea in cui vivono (di qui la preferenza per il « familiare », per il vicinato, per il gruppo di amici, ecc.), senza entrare neppure in contatto con quella società che di fatto continua a mantenerli nella loro situazione di perifericità. 141 Biblioteca Gino Bianco

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