Classe - n. 7 - luglio 1973

forme di lotta non legali, la mancata percezione che il problema della casa non è una questione privata da risolvere individualmente o da accettare come forma inevitabile di ingiustizia sociale, sono tutti atteggiamenti assai radicati nella mentalità degli inquilini. A ciò si deve aggiungere il fatto che la composizione sociale dei quartieri dove si è sviluppata la lotta e dove essa è mancata è assai eterogenea : troviamo infatti accanto alla classe operaia ceti medi, piccoli commercianti, impiegati, artigiani, popolazione non attiva. Ciò ha spesso costituito un freno allo sviluppo del movimento in favore di risoluzioni interclassiste riduttive, senza che si tenta sse una corretta politica di alleanze. A questo livello di dicotomizzazione dell'inquilino e di sua mancata percezione del problema, un ruolo determinante è ricoperto dall'ideologia della « casa come luogo della sfera privata » o « rifugio » dal mondo esterno. L'esaltazione della privacy come valore inalienabile della società occidentale coincide da un lato con un rinchiudersi asfittico dell'ambito domestico alla sfera esterna pubblica, e quindi con una diminuita capacità di mobilitazione politica; dall'altro con l'accettazione indiscussa della necessità che l'abita zione costituisca il luogo di riformazione della forza-lavoro, indispensabile al mantenimento dell'apparato produttivo. L'ambiguità di questa ideologia è evidente: da un lato infatti l'inquilino considera il problema della casa, come qualcosa di totalmente privato, da risolvere all'interno di quell'apartheid che ha largamente assimilato, dall'altro è costretto a sopportare tutte le incongruenze e le limitazioni che ne derivano (quindi condizioni d'abitabili tà precarie, costo alto dell'affitto, isolamento del quartiere dal resto della città ecc.). In sostanza è un ciclo chiuso dove ideologia, percezione distorta e collocazione di classe non precisa contribuiscono cumulativamente all'integrazione e alla segregazione della massa degli inquilini. Questo limite è stato spesso sottovalutato: si è data per scontata una chiara percezione poli tica del problema e si sono lanciate parole d'ordine e di lotta che hanno portato alla mobilitazione di strati già politicizzati, senza elevare la coscienza di quelli che non lo erano. • Prendiamo in considerazione un'altro limite che abbiamo definito esterno 5 : il fattore disgregante della città-capitalistica. A questo livello ci sembra che tutte le contraddizioni dell 'abitare possano riassumersi: da un lato infatti la città è sempre più tecnicamente organizzata, dall'altro lascia che intere frange della popolazione restino escluse dalla fruizione delle più elementari risorse urbane. 139 Biblioteca Gino Bianco

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