I 1972-1973 CRISI RISTRUTTURAZIONE LOTTE Il 1972-73 segnerà nella storia della lotta di classe di questi anni un momento di periodizzazione pari per incidenza a quelli rappresentati dal 1960 e dal 1968, ma con contenuti e dinamica diversi. « Classe » cerca di interpretare crisi economica e processo di ristrutturazione come momenti di passaggio a una fase superiore del capitalismo, che può esprimersi nella maturazione in Italia di una soc ietà ci tipo corporato: cioè carat• ter izzata dall'integrazione di potere economico e potere politico e da un « riformismo » autoritario e repr essivo. li fascicolo evidenzia inoltre i momenti di svolta imP.liciti nella risposta operaia: spinta legare momenti rivendicativi e dì potere; tendenza ad uscire dall'operaismo attraverso un processo che porti nella società contenut t e forme istituzionali tipiche <lello scontro In fabbrica . I limiti e le ambiguità delle lotte si riflettono anche nella linea strategica della Sinistra, oscillante tra parole d'ord ine democratiche e socialiste . LA CRISI IN ITAL,IA ■ I NUOVI LIVELLI DELL'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO ■ !,E LOTTE NEL SOCIALE ■ IL CONTRATTO VISSUTO '1NiAcJttli'm0.tl6ai3~11.9: 'NO L'ATTACCO AL MOVIMENTO STUDENTE• SCO ■ LA RISTRUTTURAZIONE ■ LA RISPOSTA DELLA SINISTRA
ClASSE QUADERNI SULLA CONDIZIONE E SULLA LOTTA OPERAIA sommarlo del 1° quader,\o, giugno 1969 CLASSEOPERAIAE CAPITALISMOINDUSTRIALE Stefano Merli La grande fabbrica in Italia e la formazione del proletariato industriale di massa. Angelo Dina Condizione del tecnico e condizione operaia nella fabbrica : dall'oggettività alla scelta politica . Angelo Dina La lotta degli attrezzisti della Olivetti contro la dequalificazione di massa e- l 'uso capitalistico delle macchine. La lotta alla Olivetti. Documenti. Stefano Mer li La • filantropia • del sistema di fabbri ca: dal dott. Ure al prof. Romeo. Aldo Agosti Le matrici revisioniste della • pianificazione democratica • : il pianismo. G. Magnl-M. Spagnolll il nuovo Stato Imperialista di Marcuse. sommario del 2° quaderno, febbraio 1970 LE LOTTE OPERAIE DEL 1968-69 Renzo Stefanelli La classe operala Italiana negli anni '70. Giuseppe Pupillo Classe operala, partiti e sindacati nella lotta alla Marzotto . Ellida Pletropaolo Pirelll '68: contro l'organizzazione capitalistica del lavoro e per la democrazia diretta. Le lotte alla Plrelll . Documenti Angelo Dina Un'esperienza di movimento politico di massa: le lotte Interne alla Flat (fir.e 1968-glugno 1969). Le lotte alla Flat . Documenti Documenti P,eruna discussione sui Delegati operai. Giuseppe Manentl Alc une osservazioni su un convegno di delegati operai. ibl!.Q!~i!1WÌilEli'jIéj\9:fìl'ttoll operalo come stra tegia della Sinistra.
CLASSE ADERNI SULLA CONDIZIONE E SULLA LOTTA OPERAIA 1972-73 CRISI RISTRUTTURAZIONE LOTTE ·. DEDALO LIBRI 1973 Biblioteca Gino Bianco
• Classe • nasce dalla collaborazione di gruppi di lavoro e di singoli compagni impegnati nelle lotte del movimento operaio. I quaderni di • Classe • escono con la periodicità di due all'anno e hanno un carattere monografico attorno ad alcuni temi politici e teorici centrali della Sinistra. • Classe • si presenta quindi come strumento di ricerca teorico-politica e storico-economica, ma i temi del suo lavoro usciranno dalle tappe organizzative del movimento operaio e in queste troveranno la loro verifica. Sua ipotesi di ri cerca è la elaborazione di una teoria e di una pratica unitarie di classe ·che esaltino il significato rivoluzionario e di potere delle lotte operaie nel capitalismo industriale. Hanno collaborato alla redazione dei quaderni di • Cla11e •: Emilio Agazzi, Aldo Agosti, Paola Agosti Ronza, Gianni Alasla, Sebastiano Bagnara, Massimo Cacciar(, Enrico Baiardo, Gian Mario Bravo, Claudio Buscaglla, Francesco Carnevale , Carlo Carottl, Gian Primo Cella, Collettivo di ricerca operai•studenti di Ravenna, Giancarlo Consonnl, Andreina Daollo, Vito A. D'Armento , Franco De Felice, Angelo Dina, Andrea Dosio, Francesco Flstettl, Emilio Franzlna, Antonio Gibelli, Danilo Glori, Riccardo Guas tlnl, Luigi Guiotto, Felice laudadlo, Renato Levrero, Silvano Levrero, Franco Llvorsl, Giuseppe Magni, Giuseppe Manentl, Attillo Masiero, Lodovico M• neghetti , Stefano Merli , Maria Teresa Mereu, Marcello Montanari, Giuseppe Moroslnl, Organizzazione popolare del Belice, Luisa Osnaghl Dodl, Egidio Pasetto, Ellida Pietropaolo , Guido Piraccinl, Roberto Prato, Giuseppe Pupillo, Emilio Reynerl, Maria Stella Rollandi, Mario Santostasl , Rodolfo Savelll, Eugenio Somaini, Matteo Spagnolli, Renzo Stefanelli , Giuseppina Te,npo, Graziella Tonon, Giuseppe Vacca, Silvio Valdevit. Redazione: Felice Laudadlo. L'operalo massa nello sviluppo capitalistico sarà Il tema dell'S° quaderno di • Classe •, la cui uscita è prevista per la fine del '73. Conterrà tra gli altri saggi di P. Barile e R. Levrero (Sulle modificazioni della composizione di classe In Italia ) ; G.P. Cella e E. Reynerl (Gli operai comuni all'Alfa Romeo): D. Glori (La formazione professionale dell'operalo comune) ; P. Balzani (La proletarizzazione dei tecnici); A. Mas iero (Il ~ saggio dell'operalo di mestiere all'opera lo massa nel Veneto): S. Levrero e R. Rosciani (Il passaggio dell'operaio contadino all'operalo massa nel Sud) ; B. Bezza (La figura e Il ruolo dell'operalo massa nella tematica a nella s trategia del gruppi) ecc. Biblioteca Gino Bianco
Renato Levrero Contributi per una analisi della crisi in Italia In ricordo del compagno Roberto Franceschi, dirigente del Movimento Studentesco assassinato dalla polizia a Milano. Il modello di sviluppo. !!: noto come il dopoguerra rappresenti un punto di svolta nel ciclo economico dei paesi imperialisti 1 ; svolta che sembra rompere alcune delle leggi più ferree del capitalismo, quali, ad esempio, quella di un costante freno allo sviluppo, relativo ed assoluto, delle forze produttive, delle crisi cicliche ravvicinate e distruttive, della tendenza, connessa alla precedente, a comprimere il salario reale ai livelli di sussistenza e, se possibile, sotto quest i livelli. Fra il 1950 e il 1960, ad esempio, il tasso di crescita economica dei paesi occidentali era stato dalle tre alle quattro volte superiore a quello dei periodi precedenti; l 'indice della produzione industriale, era cresciuto di circa 40 punti nel periodo, considerato di intenso sviluppo economico, 1900-1913, di circa 30 punti nel periodo 19201929 e di oltre 120 punti nel decennio 1950-1960; lo stesso periodo di tempo, a sua volta, si era caratterizzato per la straordinaria costanza del tasso di sviluppo , questo nonostante le gravi recessioni statunitensi del periodo di Eisenhower. Le recessioni e le crisi non erano state soltanto in numero inferiore a quello dei decenni precedenti , ma la loro stessa durata temporale era stata molto contenuta (in genere inferiore all'anno) e, per di più, la crisi, lungi dal propagarsi in ogni paese, aveva investito solo un numero limitato di na3 Biblioteca Gino Bianco
zioni, e questo in un periodo in cui venivano velocemente a cadere le varie limitazioni alla mobilità internazionale di capitali e di merci. Inoltre per la maggior parte dei paesi, e specialmente per quelli di più vecchia industrializzazione, si assisteva, probabilmente per la prima volta nella loro storia, ad una ininterrotta crescita del salario reale dell'operaio e, di conseguenza, ad un sostanziale miglioramento del tenore di vita e delle condizioni sociali della maggioranza della popolazione, mentre i tassi di disoccupazione erano, per tutti i paesi considerati, i più bassi mai conosciuti; ed anzi, non solo le tradizionali correnti emigratorie oltreatlantico si erano praticamente interrotte, ma ad esse si erano sostituite correnti in senso inverso, dall'Africa e l'Asia verso l'Europa Occidentale e dal Messico verso gli USA. Il tutto nell'ambito di una sostanziale stabilità monetaria, a partire dalla fine della guerra di Corea. Nonostante i numerosi tentativi di interpretare questo « miracolo » - e ancora di più quello, malinconicamente tramontato, del decennio successivo -, e gli altrettanto numerosi parametri proposti per spiegarlo (sforzo per la ricostruzione postbellica, allargamento degli scambi internazionali, stabilità della moneta di scambio internazionale, int ervento dello stato, attraverso le più svariate pratiche, dirette ed indirette, per sostenere l'economia ecc.), sembra che alcuni fenomeni, che affondano prevalentemente nella composizione di classe nei paesi considerati, siano passati completamente sotto silenzio 2 • A noi pare importante richiamare l'attenzione su almeno uno di questi elementi, la « grande crisi» del '29: la quale, grazie ai suoi rivolgimenti economici ma soprattutto politici, aveva avuto un impatto senza precedenti sui vari governi borghesi; aveva palesato come Io sviluppo economico avutosi sino allora urtava, prevalentemente e periodicamente , su una ristrettezza strutturale del mercato interno ad ogni paese capitalistico avanzato, nonché su una straordinaria rigidità degli sbocchi internazionali (dovuta all'esistenza degli • imperi coloniali), per cui le crisi si ripercuotevano velocemente da un paese all'altro, approfondendosi ed allargandosi. M. Dobb 3 ha cosl schematizzato il modello teorico di funzionamento delle economie capitalistiche che dovevano essere travolte nella « grande crisi »: a) in primo luogo un elevato grado di monopolizzazione e, dunque, ~n elevato divario fra costi e prezzi, con la conseguenza che 4 Biblioteca Gino Bianco
i margini di profitto saranno estremamente elevati ed i tassi di salario estremamente bassi; b) tale struttura ba l'effetto cbe, ad ogni diminuzione della domanda si tenderà a ridurre l 'utilizzazione delle capacità produttive, sostenendo invece i prezzi (e quindi i profitti) ; e) questo sistema produce quindi una costante sottoutilizzazione delle attrezzature produttiv e ed una disoccupazione di massa, cbe a sua volta deprime il livello salariale e, a sua volta, questo deprime la domanda; d) stante l'assetto monopolistico della struttura industriale si ba, infine, una contraddizione: da un lato l'aumento della propensione all'investimento - ciò è prodotto prevalentemente dall'altezza del saggio di profitto - ma, dall'altro, le possibilità di investimento effettivo sono ridotte al minimo per evitare di danneggiare le condizioni di produzione monopolistica; vi è quindi la tendenza ad esportare il capitale in imperi coloniali esclusivisti ed organizzati verticalmente. Ancbe se Dobb non !'ba esplicitato apertament e - e probabilmente lo considerava ovvio - in tale contesto istituzionale saranno le industrie cbe producono beni di investimento , ed in particolare quelle ad elevata composizione organica di capitale, quali la siderurgia, la chimica di base ecc., cbe cresceranno più velocemente di tutte le altre e guideranno lo sviluppo complessivo. Questo è effettivamente ciò cbe sembra essere successo nelle economie occidentali fra le due « grandi crisi» (1870-1929); è anche noto come Lenin facesse della realtà del suo tempo, e cioè lo sviluppo più veloce dell'indu stria pesante (beni di investimento) rispetto a quella leggera (beni di consumo), una « legge assoluta » dello sviluppo capitalistico nella sua fase imperialista. Orbene, sembra cbe lo sviluppo economico del secondo dopoguerra nei paesi imperialisti abbia fatto giustizia di questa « legge assoluta»: la caratteristica degli ultimi 25 anni, infatti, è stata quella di uno sviluppo delle industrie cbe producono beni di consumo (automobili, elettrodomestici, abbigliamento ecc.) cbe ha trainato in maniera decisiva lo sviluppo dell'inter a economia. È noto come prima della guerra lo status ed il simbolo del potere economico e della ricchezza di un paese fossero impersonati dalle sue miniere di ferro e carbone, dall'industria siderurgica; oggi queste branche industriali sono in netta decadenza od in grave difficoltà - sia dal punto di vista dell' « immagine » che di quello, ben più sostanzioso, dei profitti -; al loro posto è subentrata l'industria 5 Biblioteca Gino Bianco
automobilistica che, più di ogni altra, ha simboleggiato, nel secondo dopoguerra, i ritmi e la qualità dell'espansione. Considerare le industrie che producono beni di largo consumo come le « variabili causali » della fase di sviluppo capitalistico più recente non significa, ovviamente, pensare che le industrie produttrici dei beni di investimento abbiano perduto d'importanza; al contrario, ma ciò che si vuole sottolineare è che il loro continuo, e spesso straordinario sviluppo, è stato possibile, è stato indotto ed è rimasto subordinato a quello delle industrie produttrici di beni di consumo. È infine da sottolineare come lo sviluppo di queste ultime ha provocato importanti variazioni di struttura all'interno del settore dei beni di investimento, sviluppando, in particolare, certi settori con caratteristiche fortemente innovative, quali quelli basati sulle produzioni e le tecnologie elettroniche '. Ma uno sviluppo economico trascinato dalle industrie produttrici di beni di consumo necessita di almeno due «prerequisiti» che, a loro volta, interagiscono in modo determinante sull'ulteriore sviluppo. Il primo è che il potere d'acquisto della maggioranza della popolazione !ungi dall'essere compresso si è, invece, sviluppato: ciò implica che il salario reale degli operai - ed in particolare di quelli dell'industria - deve crescere e non diminuire. Ciò sembra effettivamente essersi prodotto in tutti i paesi investiti da questo tipo di sviluppo «neocapitalista»; è noto come sia cambiato l'atteggiamento da parte della classe capitalistica - nel secondo dopoguerra - nei confronti della classe operaia riguardo le rivendicazioni degli aumenti salariali. Orbene questo atteggiamento non riflette solo - e forse neppure principalmente - l'avvenuto rafforzamento delle organizzazioni sindacali della classe operaia, quanto piuttosto il mutato funzionamento del sistema economico nel suo complesso, ed in particolare il mutato rapporto fra salari e profitti. Nello schema di Dobb - come d'altronde in quello dell'economia classico-concorrenziale - il tasso di crescita dei salari, all'interno di un determinato paese, è funzione inversa di quello dei profitti: è noto d'altronde l'adagio con cui D. Ricardo formalizzava questo stato di cose: « quando i salari salgono i profitti scendono». Nel modo in cui si è sviluppata l'economia neocapitalista nel secondo dopoguerra, invece, per poter aumentare i profitti è stato necessario permettere che crescessero anche i salari: di qui, l'inflazione ora strisciante, ora galloppante, implicita in questo meccanismo di sviluppo . . Più salario significa più consumo, quindi maggior pro6 Biblioteca Gino Bianco
duzione ed infine maggior profitto. Ovviamente questo ciclo « perfetto » è ben lungi dal funzionare nel medio-lungo periodo, e ce ne accorgiamo proprio oggi quando questo tipo di sviluppo sembra essere entrato definitivamente in crisi: basti pensare alle contraddizioni indotte da element i « esterni », quali la bilancia dei pagamenti ecc. e da quelli « interni », quali le differenti produttività dei diversi settor i, le diverse elasticità delle domande dei vari prodotti in funzione dei mutamenti dei prezzi, ecc. Vedremo di accennare a qualche caso concreto analizzando « blocchi » dello sviluppo italiano. Quello che qui importa invece sottolineare è che è mutato il rapporto fra produzione e consumo nell'ambito del Modo di Produzione Capitalistico. t,: noto come il capitale, nell'accezione di « rapporto di produzion e» (e cioè di rapporto fra classi), sia nato usuraio e commerciale, per poi trasformarsi in indus triale e manifatturiero. Ma già Marx, e poi soprattutto Lenin, avevano cominciato ad enfatizzare il ruolo, presto divenuto dominante, del capitale finanziario, fino alla avvenuta subordinazione di quello industriale a questo. t,: altresl noto come il capitale finanziario sia stato, per un lungo periodo di tempo, la personificazione fondamentale dei rapporti capitalistici di produzione - con il fondamentale corollar io dello sviluppo ineguale delle forze produttive nei paesi metropolitani e in quelli coloniali e semi-coloniali. Ma a partire dagli anni '20 negli USA ed in maniera più generalizzata nel secondo dopoguerra in tutti i paesi occident ali, il ruolo egemone, o comunque più dinamico, all'interno del capitale sembra essere assicurato dal capitale operante nel settore della distribuzione e dei servizi, dal moderno capitale commerciale 5 • Parlando di egemonia non si intende soltanto riferirsi all'importanza che la grande distribuzione (magazzini a prezzo unico, catene di supermercati, società commerciali ecc.) ha acquistato nel dopoguerra in tutti i paesi imperialisti - si è infatti assistito ad una vera e propria industrializzazione del settore distributivo - o, anche, alla potenza finanziaria acquisita dalle società operanti in questo settore, per cui spesso importanti branche industriali cadono sotto il dominio finanziario delle società che gestiscono reti di vendita, grandi magazzini ecc. Ci vogliamo riferire soprattutto al fatto che all'interno dello stesso settore industriale, ed in particolare nella parte più dinamica della grande industria, le considerazioni di tipo commerciale e distributivo, ed in particolare quelle connesse al marketing, acquistano un peso sempre più determinante ai fini della Biblioteca Gino Bianco 7
fissazione degli obiettivi del profitto aziendale. E questo non soltanto per quelle industrie che producono beni di consumo - nelle quali spesso i problemi di marketing sovrastano nettamente quelli dell'organizzazione della produzione, e in cui, comunque, questa dipende da quelli - , ma anche nella parte più dinamica delle industrie che producono i nuovi beni di investimento (come i calcolatori , le macchine utensili, il materiale da ufficio ecc.). Quest'ultimo è quindi un aspetto assolutamente nuovo e determinante nella descrizione del modello di funzionamento del più moderno capitalismo. È noto che Marx, nella sua famosa Introduzio ne inedita alla Critica dell'economia politica 6 rilevasse come « la produzione crea il consumatore », il modo cioè di consumare le merci: la Produzione capitalistica (l'insieme stru tturato cioè di produzione, distribuzione, consumo, scambio) è considerata come una totalità organizzata all'interno della quale il momento della produzione determina in ultima istanza la forma ed il livello di tutti gli altri. Oggi in questa totalità organica sembra che la funzione di determinante in ultima istanza debba essere attribuita al consumo, e più precisamente al consumo di massa, perché all'interno della sfera più propriamente produttiva sono state le industrie produttrici di beni di consumo che hanno di fatto determinato, attraverso il loro straordinario sviluppo, lo sviluppo dell'intera economia capitalistica. Ovviamente consumo di massa implica un ben determinato tipo di rapporti fra le classi e, conseguentemente, di distribuzione del reddito. Abbiamo visto come la vecchia politica di compressione dei salari reali nel settore industriale provocasse una costante sottoutilizzazione della capacità produttiva (con la susseguente manifestazione delle crisi di riproduzione come crisi di sovrapproduzione) e una situazione di disoccupazione di massa. La difesa del saggio di profitto, stante la limitatezza della massa del profitto, poneva in antagonismo l'esigenza del progresso tecnologico con quella dell'aumento, e spesso anche della stabilità dei salari operai. Agli inizi dell'industrializzazione nella gran parte dei paesi capitalisti vi era stata, nettissima, la spint a verso la riduzione del salario reale: ai pochi periodi di espansione di questo seguivano immediatamente lunghi periodi depressivi che vanificavano le raggiunte conquiste salariali. Al contrario nel dopoguerra i salari reali in tutti i paesi imperialisti mostrano uno spiccato trend ascendente, per le ragioni più sopra individuate. Il principio dell'aumento del potere di acquisto dei Bibliof eca Gino Bianco
lavoratori non è più messo in discussione da parte dei capitalisti, che chiedono che sia contenuto entro certi limiti (quali ad esempio quello della produttività ecc.), ma di fatto non vi si oppongono e soprattutto non tentano di invertire il trend. Questo fatto ha profondamente modificato i rapporti tra le classi all'interno dei paesi imperialisti spostando il centro della lotta rivoluzionaria nei paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina 7 • Il secondo « prerequisito » al quale si accennava è che la vendita di massa dei beni di consumo implica una produzione continua e standardizzata degli stessi: la catena di mont aggio - sia fisica sia, il più delle volte, una catena di fatto ma non visibile - della moderna industria dell 'auto e degli elettrodomestici , dell'abbigliamento e dell'industria alimentare, è diventata l'emblema più evidente e conosciuto del processo di sviluppo degli ultimi anni. In questo contesto la caratterizzazione del tipo di sviluppo non può essere soltanto quello di evidenziare l'organizzazione del lavoro di tipo tayloriano, ma anche un processo di proletarizzazione - interno ed esterno (emigrazioni ecc.) - adeguato alle nuove richieste della domanda di lavoro. Ma lo sviluppo della produzione di massa, standardizzata, impersonata dalla catena, è la molla che spinge alla nascita prima e ad uno straordinario sviluppo poi, di tutte le nuove industrie produttrici di beni di investimento, centrate essenzialmente attorno all'informatica ed all'automazione; vi è infatti una sempre maggiore necessità di controllare automaticamente i processi produttivi messi in atto nella grande fabbrica, in modo da permettere di usufruire di tutte le possibili economie di scala. In quest'esigenza non solo risiede la molla che ha portato all'aumento medio della dimensione aziendale, all'intensificarsi del processo di concentrazione industriale, ma anche quella che ha spinto verso l'organizzazione scientifica dello sfruttamento e verso l'innovazione tecnologica ed industriale, verso l'attuale divisione internazionale del lavoro. Vale la pena, a questo punto, di ricordare la brillante teoria di Young 8 sui rapporti fra divisione del lavoro e ampiezza di mercato: è un'ironia della storia che l'autore, un inglese che studiava 1 motivi della maggior redditività di sviluppo dell 'industria americana rispetto a quella inglese, scrivesse l'articolo proprio nel '29, quando cioè i mercati si stavano ormai restringendo; la sua teoria fornisce oggi il quadro più completo per tentare di capire cosa è 9 Biblioteca Gino Bianco
successo all'interno dell'economia dei paesi europei e nordamericani nel dopoguerra. Ogni anno l'impresa, come i suoi concorrenti , fabbrica un prodott o, una parte cli un prodotto o un gruppo cli prodotti. L'attività viene modi.ficata, soprattutto dal punto cli vista dell'organizzazione del lavoro, quando viene adattata ad una crescente produzione, ma per il resto essa rimane legata a vincoli tecnologici e cli redditività ben precisi. Cambiamenti radicali invece intervengono, quando si modi.ficanole economie esterne dell'azienda, quando cioè compaiono prodotti nuovi, nuove industrie vengono alla luce e le imprese vanno assumendo nuovi compiti. Allora, in questo momento, è necessaria, all'interno dell'azienda, una nuova divisione del lavoro. È importante notare come con la divisione del lavoro (gli spilli di A. Smith) un gruppo cli procedimenti complessi viene trasformato in una serie di procedimenti più semplici attraverso l 'adozione cli macchine (e quindi la formazione di un'industria di macchine). Appare chiara la giustezza del teorema cli A. Smith secondo cui l'ampiezza del mercato dipende dalla divisione del lavoro : l'impiego delle macchine e l 'adozione di procedimenti indiretti implicano a loro volt a una ulteriore divisione del processo lavorativo, le cui economie troveranno un limite nell'estensione del mercato. Ma nelle condizioni cli un capitalismo che, diversamente dall'epoca cli A. Smith e cli Lenin, si fonda più sulla produzione di beni di consumo cli massa che su quella cli beni cli investimento, l'ampiezza del mercato non è oggi più misurata dall 'area geografica e dalla popolazione, ma piuttosto dal potere d'acquisto, dalla capacità d'assorbimento, dalla capacità di produzione. L'ampliamento di un mercato per un bene, proprio attr averso il meccanismo della divisione funzionale del lavoro, proprio attraverso il meccanismo dei rendimenti crescenti (cioè delle economie esterne, non di scala) permette cli ampliare il mercato per tutti gli altri beni. Quindi ampiezza cli mercato e divisione del lavoro si inseguono come causa ed effetto, con il risultato cli creare nuovi mercati e nuove industrie, con il semplice allargamento cli quelli già esistenti. Pertanto la relazion'e fra ampiezza del mercato e divisione del lavoro è duplice: l'ampiezza del mercato spinge alla divisione del lavoro, creando nuove branche industriali (l 'economia americana degli anni '50 ha crea(o l'industria dei calcolatori , l' industria dei calcolatori ha creato quella del software ecc.); la divisione del lavoro « inventando » nuovi mercati spinge all'ampliamento del mercato potenziale _dell'economia. Quindi la stessa divisione del lavoro fra le 10 Biblioteca Gino Bianco
industrie e fra le diverse branche industriali è un fattore, fra i più potenti, di rendimenti crescenti. Questo meccanismo spiega perché il capitalismo si sia progressivamente orientato nei paesi imperialisti verso la produzione di massa e la vendita di massa, quindi verso un costante incremento dei salari nominali e del potere d'acquisto della classe operaia. Lo sviluppo delle industrie produttrici di beni di consumo e delle imprese distributrici ha reso necessario, all'interno di ogni impresa prima e di interi settori poi, una divisione del lavoro consistente nella separazione delle funzioni di trattamento dell'informazione da quello delle altre funzioni amministrative. Nello stesso modo negli USA, 40 anni prima, grazie alla concentrazione dovuta alla necessità di produrre ad economie interne o di scala, si erano venute concentrando grandi masse di operai che avevano reso necessaria la separazione delle funzioni di direzione del personale da quelle tecniche di produzione: ma quest'ultima separazione aveva soltanto prodotto nuovi mestieri e libri di testo universitari; la prima invece ha prodotto più industrie! Come dovrebbe essere apparso chiaro i rendimenti crescenti permettono uno sviluppo economico anche indipendentemente dal progresso della scienza e della tecnica, cosl come, in una situazione di crescente unificazione dei mercati mondiali, assicurano la preminenza delle industrie che producono su scala maggiore proprio perché hanno di fronte un mercato più ampio. A questo proposito non sarà male ricordare che, sotto qualsiasi punto di vista lo si guardi, il mercato USA è almeno il doppio di quello degli altri paesi industrializzati messi assieme. Un ulteriore vantaggio che danno gli incrementi crescenti è quello di poter pienamente utilizzare, oltre al lavoro sotto forma direttamente capitalistica, anche il lavoro indiretto. E questo non solo nei settori dei paesi imperialisti non ancora formalmente industrializzati (quali la scuola, branche dell'agricoltura e della distribuzione ecc.), ma, soprattutto, nei paesi satellizzati. Questa nuova divisione internazionale del lavoro fa entrare direttamente nel processo di valorizzazione del capitale strati, classi e paesi in cui apparentemente non sono dominanti i rapporti capitalistici di produzione. In questa rete di rapporti appare evidente come più piccolo è il mercato più esso dipenda dalle relazioni commerciali e finanziarie 'con gli altri paesi, mentre il mercato più ampio - in questo caso quello degli USA - sia apparentemente al sicuro da ogni interfe - renza, economica o finanziaria, delle altre potenze industriali. La spinta all'innovazione, in questo contesto, riassume bene la 11 Biblioteca Gino Bianco
forma che ha incarnato, nel dopoguerra, la corsa alla realizzazione del profitto. L'ampiezza del mercato determina la qualità, la sofisticazione e la quantità dei beni di consumo vendibili; a sua volta la produzione di questi beni induce quella dei beni di investimento moderni. Il paese che raggiunge per primo il successo commerciale in uno dei nuovi prodotti, lo esporta, in un primo tempo, conquistando grosse quote di mercato negli altri paesi, distruggendo o assorbendo le industrie nazionali che non sono riuscite a crearsi un mercato sufficientemente ampio perché la produzione di quel bene diventi profittevole. In un secondo momento, man mano che le quote di esportazione crescono di importanza, e cioè si allarga il mercato, diventa profittevole impiantare la produzione direttamente in uno o più dei paesi compratori: in tal modo il dominio di una nazione su un'altra, che fino allora era rimasto confinato al campo commerciale o finanziario, diventa anche dominio direttamente produttivo. In un terzo momento, quando anche le industrie nazionali dei paesi satelliti avranno imitato il prodotto, e dunque la concorrenza sarà diventata più spiccata con la conseguente diminuzione dei saggi di profitto, il paese « fìrst corner », o, meglio, quello che sarà riuscito a difendere e mantenere il suo monopolio produttivo e finanziario, sposterà il suo interesse verso lo studio e la sperimentazione ed infine la produzione di beni di investimento anch'essa con caratteristiche fortemente innovative, cosl da ricreare il ciclo del prodotto. Storicamente le prime imprese multinazionali sono state le imprese americane di automobili, delle macchine da cucire, dei detersivi, per poter poi essere sorpassate in ordine di importanza dalle imprese, sempre americane, dei calcolatori, della chimica organica e della farmaceutica, del materiale da ufficio. Questo tipo di sviluppo economico, che possiamo ben chiamare di tipo neocoloniale, evidenzia, ancora di più, l'importanza che assume in ciascun paese la composizione di classe, a seconda se il paese è metropolitano (imperialista) o satellite (sfruttato). Se tradizionalmente il progresso era « labour saving » e la composizione organica media del capitale tendeva a crescere - e questo tanto più quanto le tradizionali industrie pesanti avevano il predominio nell'economia - negli ultimi 20 anni assistiamo ad un processo opposto: crescono di più, cioè, quelle imprese e quei settori caratterizzati da una minore composizione organica di capitale. Questo non solo è vero per il settore commerciale e dei servizi, ma anche per quelle produzioni di beni di investimento moderni ad elevato contenuto di ,scienza e « marketing oriented »: il progresso tecnico, 12 Biblioteca Gino Bianco
cioè, non solo è « capita! using », ma sempre più « labour using ». Ma, abbiamo già visto, il lavoro nei paesi imperialisti è lavoro ben pagato, lavoro caro; inoltre se, come in effetti è avvenuto in tutti i paesi imperialisti, lungo un certo numero d 'anni cresce più il costo del lavoro che quello del denaro, la composizione organica del capitale di quel paese tenderà verosimilmente a diminuire, favorendo in ciò la tendenza del capitale ad emigrare dai tradizionali settori di investimento (industria pesante) verso i nuovi, a composizione organica minore e a più elevati tassi di profitto. I paesi imperialisti si sono cosl venuti specializzando precisamente in quelle lavorazioni ad elevato contenuto di lavoro, relegando, in parte, le lavorazioni a più elevata composizione di capitale nei paesi in via di sottosviluppo. :ll necessario introdurre, a questo punto, il concetto di « composizione organica della forza-lavoro », che pare più atto a descrivere i meccanismi economici e sociali in atto nei paesi imperialisti. Con tale concetto il marxista greco Emmanuel definisce il rapporto fra il lavoro qualificato (ben pagato) e quello non qualificato (mal pagato) 9 • Nclle industrie dove la parte del costo dclla maoodopcra sul valore aggiunto è più elevata della media, ci sono sia quelle che impiegano forze.lavoro a bassa qualificazione (es. i tessili) e quelle che, al contrario, richiedono un alto grado di formazione professionale. Nella seconda categoria i salari più bassi nei paesi in via di sviluppo non bastano a compensare l'inesistenza od il ritardo nella formazione di forza-lavoro. B soltanto nel primo genere di indust rie, dove le tecnologie sono pr11.ticamentele stesse dappertutto, che il loro vantaggio è irrecuperabile. Ma questa è una situazione che non deve inquietare i paesi industrializzati: in fin dei conti è a loro vantaggio. Infatti la vera distinzione non è fra settori dove entra più o meno manodopera, ma è fra i diversi livelli di qualificazione, il che si lega ai diversi livelli di salario. Si ritorna cosl all'idea che le industrie davvero concorrenziali sono quelle che sono capaci di pagare i salari più elevati 10• Cosl, nelle parole del capitalismo « nazionale » europeo, abbiamo evidenziato il nesso che lega, all'interno dei paesi occidentali, lo sviluppo neocapitalista con quello neocoloniale. Negli ultimi 25 anni abbiamo visto crescere l'occupazione nel «terziario» moderno più che nell 'industria: si è avuta, in particolare nell'ultimo decennio, l'inizio di una migrazione di lavoratori ·dall'industria verso il settore dei servizi, come precedentemente si emigrava dai campi alle fabbriche; all'interno dell'industria stessa, ed in particolare dell'industria produttrice di beni di investimento moderni, assistiamo, contemporaneamente , alla crescita della forza-lavoro 13 Biblioteca Gino Bianco
impiegat121aad un ritmo maggiore di quella operaia. Ora il lavoro impiegatizio e quello del settore terziario sono, in media, meglio pagati cli quello operaio: le moderne industrie si caratterizzano, perciò, non tanto per un'elevata composizione organica di capitale, ma, al contrario, per una elevata composizione organica cli lavoro. Il paese in questione, contemporaneamente, sarà portato a specializzarsi, nel commercio internazionale, in quelle produzioni ad elevato contenuto cli lavoro, per poter continuare a pagare elevati salari e stipendi al suo interno, per poter continuare ad incrementare le vendite e la produzione dei beni cli consumo di massa. La pace sociale raggiunta nella maggior parte dei paesi neocapitalisti e neocoloniali, interrotta non a caso dalle guerre e crisi coloniali (USA, Francia, Belgio), trova il suo fondamento materiale - espresso a livello politico dall'esistenza cli partiti socialdemocratici di massa e dalla « socialdemocratizzazione » dei partiti comunisti cli massa là dove essi esistevano - precisamente nel nesso fra sviluppo interno e sviluppo esterno, nelle mutazioni della composizione cli classe che 25 anni di questo tipo cli sviluppo hanno causato u. Il contesto internazionale. Il tipo cli sviluppo delineato, comporta un aggravamento dello sviluppo ineguale del capitalismo portando lo sviluppo e la ricchezza in un pugno cli paesi ed il sottosviluppo e la miseria nella stragrande maggioranza degli altri. Siccome è nostro compito quello cli analizzare i termini nei quali si è configurata la crisi italiana, ci riferiremo esclusivamente ai rapporti, anch'essi ineguali, interni al primo tipo cli paesi, per poter individuare quali sono state le implicazioni fra le nazioni dello sviluppo del dopoguerra. Per ragioni in gran parte note è negli Stati Uniti d'America che il modello cli sviluppo esposto nelle pagine precedenti si è realizzato con maggior compiutezza, e gli USA rappresentano oggi la metropoli mondiale i cui rapporti di sfruttamento si allargano anche alle stesse metropoli europee. Proprio nel momento in cui - e per la prima volta nella storia - la metropoli per eccellenza viene sconfitta da parte del suo antagonista cli classe, il popolo vietnamita, segnando con ciò l 'inizio della fine cjel modello di sviluppo seguito, è necessario soffermarci 14 Biblioteca Gino Bianco
sui rapporti intermetropolitani - fra USA e CEE soprattutto - per chiarirne i legami funzionali. Durante « il periodo in cui gli Stati Uniti ebbero spesso ad agire come agente di polizia del mondo » (Nixon, Messaggio sullo stato dell'Unione, 21-1-1972) si venne a determinare un vasto e crescente deficit della bilancia dei pagamenti di base degli USA - non compensata dal pur crescente flusso di profitti rimpatriati dalle rapine dei vari paesi del mondo (bilancia dei pagamenti a lungo termine). A questo squilibrio di fondo, se ne aggiunge un altro, che deriva dal tipo stesso di sviluppo « interno » tipico degli USA: il ritmo di aumento del capitale fittizio (e della ricchezza fittizia) è stato maggiore di quello di aumento del capitale, e della ricchezza, reale 12 • In parole povere il finanziamento dell'espansione americana - il tremendo boom del periodo kennediano - è avvenuto fondamentalmente attraverso i debiti che la Banca di Riserva americana ha contratto con le banche centrali estere, in particolare quelle europee. È attraverso questi debiti, accumulatisi da 14 anni a questa parte, che si è venuta creando, nel corso degli anni '60, la liquidità internazionale che ha potentemente spinto verso l'integrazione economica dei paesi atlantici; è anche attraverso questo meccanismo che si è venuto a creare quell'immenso mercato dell'eurodollaro, che ha fatto esplodere, negli ultimi 6 anni, le più gravi contraddizioni e crisi all'interno della formazione imperialista mondiale. Il meccanismo di funzionamento del rapporto USA-Europa, si basa più su ragioni politiche che economiche. Come potenza politicamente, militarmente ed economicamente egemone - fino alla sconfitta politica, militare ed economica subita nel Vietnam - gli USA esigono che i loro creditori, le Banche Centrali Europee, non richiedano il pagamento dei loro debiti. Dopo il marzo del 1969 il dollaro è poi diventato (per comune accordo di debitori e creditori) completamente inconvertibile e quindi, oggi, non si può più esigere, nemmeno di diritto, il cambio dei dollari detenuti dall'Europa contro oro; metà delle riserve dei paesi europei sono cosl formate da dollari ed hanno già subito due svalutazioni per il 20% circa del loro valore! Questa massa crescente di dollari si è poi riversata sulle piazze finanziarie europee dove è stata presa a prestito prevalentemente dai grandi gruppi finanziari americani per finanziare le loro attività in patria nei momenti di moneta diflicile e per comprare le industrie europee scambiando fabbriche ed industrie contro pezzi di carta. De Gaulle prima e poi tutti gli altri, perfino Carli, hanno lan15 Biblioteca Gino Bianco
ciato forti lai contro questo metodo disinvolto cd eterodosso di fare affari (e politica), ma gli americani - con gli accordi del 71 - hanno ribadito la loro volontà non solo di fare debiti e non pagarli - cosa a cui ormai i loro partners europei erano abituati - ma anche quella di farli pagare ai loro creditori, tramite sostanziali e continue rivalutazioni delle monete più pericolose per il commercio americano (yen, marco, fiorino). Ovviamente non vi è una ragione economica per cui un paese possa finanziare la sua espansione, interna ed internazionale, attraverso i propri debiti: il modello a cui ci si può piuttosto riferire è quello della rapina alla banca, in cui però i rapinati sono stati avvertiti in precedenza della rapina e a questa acconsentono. Ma gli USA non si limitano soltanto ad accollare i loro debiti ad altri : siccome ogni rapporto economico maschera un rapporto sociale, gli americani esportano negli altri paesi del blocco neocoloniale le loro tensioni economiche e sociali interne. Quando si è detto che il ritmo di aumento del capitale fittizio supera negli USA il ritmo di aumento del capitale reale, non abbiamo voluto soltanto delineare in questo modo il meccanismo e il tipo di sviluppo all 'esterno degli USA: se vale quanto abbiamo detto in apertura riguardo lo sviluppo neocapitalista - fondato sul consumo di massa - non ci si dovrebbe stupire che negli ultimi 15 anni il tasso di indebitamento privato americano sia passato dal 60% del prodotto nazionale lordo all'attuale 135% e che sia cresciuto con una rapidità superiore a quella dell'aumento del reddito nazionale. Se l'altezza di tali valori può stupire gli europei, si ricordi come il meccanismo di sviluppo indotto dalla spinta al consumo, in America - al contrario che in Europa - non è mai stato sostanzialmente frenato da politiche monetarie e fiscali restrittive o deflazionistiche. A ciò si aggiungano fatti ben noti, quali lo straordinario sviluppo delle spese statali per fini militari (che raggiungono pur sempre una quota del 50% del bilancio federale) e per il finanziamento delle spese di ricerca e sviluppo; l'af!lusso significativo di risorse dall'estero , quali i rimpatri dei profitti - che nel '69 rappresentavano il 25% di tutti i profitti americani - , i vantaggi derivanti dallo « scambio ineguale » ecc., tutto ciò ha portato alla creazione e allo sviluppo del gap fra surplus potenziale e ricchezza effettivamente prodotta u che ha moltiplicato le spinte inflazionistiche proprie di un meccanismo industriale dominato dalle imprese produttrici dei beni di consumo. . Per un lungo periodo tali tensioni sono state scaricate, assieme 16 Biblioteca Gino Bianco
alla massa dei dollari, prevalentemente sui paesi dell'Europa Occidentale e del Giappone, che sono stati obbligati a seguire, dal '60 in poi, costantemente una politica deflazionista al loro interno. In fin dei conti, se ieri i paesi europei - e quindi i contribuenti, ed in particolare i proletari europei - pagavano la sopravvalutazione di fatto del dollaro con uno sviluppo interno frenato, con un pesante carico fiscale e con minori investimenti sociali, oggi gli stessi soggetti pagano le ripetute svalutazioni del dollaro e le fluttuazioni delle monete nazionali. Ma, nel 1973, i termini del rapporto fra le metropoli imperialiste vanno oltre il semplice pagamento dei debiti americani da parte dei loro alleati europei. La struttura produttiva interna del capitale americano (e dei relativi gruppi di potere) è considerevolmente cambiata nel corso degli ultimi 15 anni; ne è risultato un consistente passivo della stessa bilancia commerciale, passivo che ha raggiunto la cifra record di circa 10 miliardi di dollari lo scorso anno. Allo scadere del mandato di Eisenhower fa scena produttiva americana era dominata dall'industria del ferro e dell'acciaio, da quella petrolifera, dalle « 3 grandi » dell'auto. G. Manghetti 14 ha cosl sintetizzato i grandi cambiamenti avvenuti nel tessuto produttivo statunitense sotto i presidenti democratici: Alcuni settori (aeronautico, materiali non elettrici, chimico) sono cresciuti 1 altri (motoveicoli, lavorazioni metallurgiche) hanno segnato il passo o sono stati trascurati. Per aumentare i profitti e la produttività nei settori m espansione - grazie anche ad una politica imprenditoriale assai decisa da parte del Pentagono - si razionalizzarono i processi produttivi, decentrando al massimo (in imprese satelliti) le lavorazioni a più bassa produttività. Tutto ciò provocò non solo una grave strozzatura sia nella distribuzione che nello sviluppo delle produttività e dei profitti fra i vari settori , ma anche l'invasione, da parte delle imprese che producono beni di consumo « superflui » o di « lusso » dell'Europa e del Giappone, del mercato americano. Infatti, visto che tanto all'interno che all'estero, gli americani si erano specializzati nella produzione dei moderni beni di investimento, trascurando qt!elli di consumo, per gli europei ed i giapponesi non restava che far valere i loro vantaggi - minori salari e più bassa produttività - nei settor i più tradizionali. Nixon cambierà politica, da un lato riassicurando i vecchi set17 Biblioteca Gino Bianco
tori - dal tessile a quello dell'acciaio, da quello delle automobili a quello delle macchine elettriche tradizionali (elettrodomestici) -, dall'altro promuovendo lo sviluppo di nuove industrie, come quella dell'ambiente: sintomi di questi cambiamenti furono, ad esempio, i due fallimenti di imprese giganti (Generai Electric e RCA) nel campo dei calcolatori e l'insperato aiuto finanziario alla Penn Centrai (trasporti ferroviari), nonché la riconversione della spesa federale per R & D. È successo cosl che la capacità produttiva dei settori fino allora trainanti cominciò ad essere eccessiva, aumentarono i disoccupati - in particolar modo gli ingegneri e i tecnici - , caddero gli investimenti e l'inflazione divenne galoppante. Ai suoi alleati Nixon ha cosl preparato un nuovo conto: essi devono riconvertire il loro · commercio con gli USA, diminuire le esportazioni dei beni di consumo (dalle scarpe alle macchine fotografiche, dagli elettrodomestici ai tessuti) ed aumentare quelle dagli USA di prodotti alimentari e di beni ad elevata tecnologia. Riconvertire il commercio, per europei e giapponesi, vuol dire, ovviamente, riconvertire strutture produttive industriali e agricole. Gli anni '70 si aprono cosl all'insegna di un triplice confronto: monetario, commerciale ed industriale. La guerra monetaria ed industriale è già in atto, e in questi campi gli USA si stanno rifacendo di tutte le sconfitte ricevute in Asia Sudorientale. Il caso italiano. Vediamo ora come il meccanismo di sviluppo neocapitalista e neocoloniale si è venuto configurando nella concreta esperienza italiana. M. De Cecco 15 ha schematizzato in modo suggestivo la struttura dell'attività di un paese imperialista maturo. Alcuni rapidi sondaggi statistici ci hanno permesso di quantizzare l'evidenza grafica delle sue figure: Servizi beni investimento moderni beni di consumo PT Prodotti Tradizionali Per un paese di questo tipo la produzione industriale si ripartisce, all'incirca alla metà, fra industrie che producono beni di con18 Biblioteca Gino Bianco
sumo, durevole o no, e quelle che producono i beni di investimento che abbiamo definito come moderni, ad elevata tecnologia. Nel complesso l'attività industriale pesa meno di quella del settore dei servizi, nella produzione dei quali si sono concentrati maggiormente l'occupazione e gli investimenti nell'ultimo decennio. Il settore tradizionale (artigianato, agricoltura di sussistenza, piccolo dettaglio ecc.) pesa per meno del 10% sull'intera attività economica. Il processo di modernizzazione dell'economia italiana dopo la « ricostruzione » capitalistica, è, ovviamente, partito anche qui dallo sviluppo delle industrie che producevano beni di consumo. Ma è solo con la formazione del MEC che queste indu str ie (la FIAT particolarmente, poi la nascente industria degli elettrodomestici e quella delle materie plastiche) hanno pienamente goduto delle tre condizioni: a) allargamento dei mercati internazionali e susseguente produzione a rendimenti crescenti 16; b) sviluppo del mercato interno come effetto del trend modestamente ascendente dei salari reali; e) maggiore competitività internazionale dovuta ai minori costi della manodopera italiana. Va osservato come i ritmi di sviluppo del prodotto interno lordo siano stati particolarmente sostenuti in due quinquenni, il primo dei quali si riferisce esattamente al periodo in quest ione, successivo all'ingresso italiano nel MEC. Venne in tal modo a modificarsi sostanzialmente la composizione dell'occupazione e della produzione nazionale: le industrie tradizionali, di beni di consumo, come per es. le tessili , diminuirono d' importanza, mentre l 'accrebbero quelle tradizionali di beni di investimento (siderurgia, chimica di base ecc.) e quelle dei moderni beni di consumo (mezzi di trasporto). Durante tutto questo periodo l'offerta di lavoro continuò a dominare il mercato, con effetti stagnan ti sull'and amento del salario: si avrà quindi un limitato - seppure importante - sviluppo del mercato interno col risultato che durante il « miracolo economico » la struttura produttiva italiana si differenzia in modo del tutto insufficiente, rimanendo accentrata attorno al ciclo dell'auto e a quello, na~cente, degli elettrodomestici. Il grande sviluppo della rete autostradale - il maggior risultato industrializzante ottenuto dall'industria dell'auto -, una accentuata dinamica delle industrie produttrici di gomma elastica e dei materiali accessori all'industria dell'auto, l'impulso dato dallo sviluppo della raffinazione del petro19 Biblioteca Gino Bianco
lio alla chimica, tutto ciò non compensava la persistente frammentazione produttiva causata dall'ancora insufficiente numero di sbocchi industriali « capitalistici » alla massa proletarizzata cacciata dalle campagne: anzi questa frammentazione troverà proprio nel settore delle officine di riparazione dei mezzi di trasporto un ambiente e condizioni estremamente favorevoli alla sua riproduzione e perpetuazione. Verso la fine del ciclo ascendente si verificò, particolarmente in Piemonte e Lombardia, una tipica strozzatura nel mercato del lavoro: vi fu cioè una grossa carenza di personale qualificato e semiqualificato, sia a livello operaio che a livello impiegatizio. Gli investimenti degli anni precedenti nel settore della scuola e dell'i struzione tecnico-professionale da parte dello Stato erano stati, · particolarmente nel sud, assolutamente carenti: a questa carenza si era sostituita l'iniziativa privata con il proliferare di scuole serali a costi elevatissimi che allontanarono dalla scuola una gran massa di giovani. In tal modo il mercato italiano del lavoro venne cosi a perdere - una volta per tutte - la sua omogeneità: una massa ancora imponente di disoccupati (più di 1 milione), un numero crescente di emigrati, tutto ciò non impediva che si venisse a creare una carenza, di notevoli proporzioni, di forza-lavoro qualificata. Assieme a questo elemento di perturbazione se ne veniva accumulando un altro: la grande industria in fase di espansione aveva moltiplicato i suoi investimenti nella parte settent rionale del paese, più vicina ai mercati di sbocco del MEC; man mano che la produzione cresceva di dimensioni aumentava la domanda di forza-lavoro generica da adibire alla catena di montaggio. Mentre la tradizionale classe operaia settentrionale cercava di trasferirsi in branche di lavorazione più qualificate, a maggiori livelli salariali e con contenuti lavorativi meno faticosi - spesso uscendo da una situazione di proletarizzazione impiantando piccole officine, lavorazioni in appalto ecc. - una massa crescente di lavoratori agricoli strappata dal meridione si inurbava al nord, soprattutto intorno a Torino e a - Milano. - La corsa alla città del nord si trasformò in una corsa all'oro per il grande capitale che scopri nell'attività edilizia e di speculazione fondiaria una fonte straordinaria di guadagno. Ne consegui un vertiginoso aumento degli affitti che contribui a falcidiare i salari della gran massa dei lavoratori. Agli inizi degli anni '60, si erano dunque create le premesse oggettive. per una ripresa · delle lotte operaie, per la rottura del 20 Biblioteca Gino Bianco
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