Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 7 - maggio 1978

bibli la compenetrazione delle due nature avviene in perfezione. Ogni istruzione di Cristo è la nostra istruzione; secondo la bella espressione agostiniana «ogni azione di Cristo è azione nostra». 3. - L'Israele carnale In questo spirito guardiamo il Vangelo, apriamo il libro che ci parla del Signore. Oggi noi sappiamo, più di ogni generazione cristiana, dopo quelle apostoliche, o immediatamente subapostoliche, quale fu il tempo storico di Gesù. Siamo più contemporanei di Gesù di qualunque altra generazione da quando la Chiesa divenne, in prevalenza, la Chiesa dei Gentili. Possiamo comprendere qualcosa di più della Chiesa, più dei sadducei, dei farisei, degli esseni, degli zeloti; ora l'Israele «carnale» si innalza davanti a noi in quella che possiamo dire la sua statura spirituale. Ora abbiamo innanzi il limite di una lettura scipita del Vangelo che intende i sadducei, i farisei, gli zeloti come figure ridicole e assurde, categorie astratte e negative. Questa posizione scipita non rende conto della realtà spirituale che fu dei sadducei, dei farisei degli zeloti e, in una parola, dell'Israele che non credette a Gesù; non rende conto del carattere drammatico di lotta spirituale che hanno le parole del Signore nei confronti dei suoi avversari. Queste parole non sono una descrizione di comportamenti, sono la rivelazione del cuore del Signore che guarda il cuore di chi gli sta di fronte. Ed ora sappiamo che l'ipocrisia attribuita dal Signore ai farisei non dice tutto sulla realtà del fariseismo ai tempi del Signore. Esso è un grido di conoscenza del cuore e di lotta spirituale. Il fariseismo era una forza culturale e morale di prim'ordine, quella che fece sopravvivere Israele. L'ipocrisia non era a livello volgare e banale, come noi l'intendiamo. Era una ipocrisia a livello fortemente etico, una ipocrisia innanzi al mistero della carità divina. l'vfa cosa sarebbe della tranquilla banalità del nostro vivere ecclesiastico se dovesse essere paragonata all'ipocrisia dei farisei, al modo in cui i farisei emergono dalla loro testimonianza, o dalle testimonianze che li riguardano? Ma infine l'effetto peggiore è che noi dimentichiamo la ragione per cui il Van– gelo ci parla dell'Israele che non credette, della statura spirituale degli avver– sari di Gesù, delle profonde ragioni che essi ebbero di rifiutarlo. Il Vangelo non ci parla degli scribi e dei farisei per istruirci storicamente sulla condi– zione culturale di Israele nel primo secolo. Ce ne parla perché, anche al nuovo Israele, può accadere la stessa cosa. Il timore che si ripeta, nel comportamento dei cristiani il dramma di Israele innanzi al Cristo, è presente nel Nuovo Testamento. Proprio di questo gli autori del Nuovo Testamento sono co– scienti; essi vogliono continuamente separare la differenza cristiana dal modo d'essere ebraico, ben sapendo che esso è una continua possibilità. Se noi man– chiamo d'intendere che la possibilità, indicata dai vari gruppi dell'Israele in– credulo, è aperta anche ai cristiani e che, appunto per questo, il Signore ce ne parla, allora perdiamo la chiave di lettura del Vangelo. 8 ginobianco

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