Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 7 - maggio 1978
L'Eucarestia esprime la continuità della «città di Dio» e della «città del– l'uomo» perché esprime la carità divina divenuta carità fraterna; il diventare appunto cibo mostra che la carità divina si è fatta altro da sé fino all'estremo, fino a diventare cosa per l'uomo. Così ricevere l'Eucarestia vuol dire, in un certo senso, volere che il gesto di Dio continui in noi, nella nostra carità fra– terna. Che cosa significa l'unità della carità divina e della carità fraterna, nella nostra esperienza quotidiana? E' la carità fraterna che ci illumina per– ché è, a un tempo, oggetto della nostra esperienza immediata e la realtà deìla carità divina in atto. Più profondamente entriamo nella carità fraterna, più profondamente entriamo nella carità divina. E la ragione è che è la carità divina che si manifesta in noi come carità fraterna. E' Dio stesso che si dona, nella sua carità ai nostri cuori e diviene in noi carità fraterna, sicché in fondo, la carità fraterna è, a un tempo, nostro gesto ed il gesto di Dio in noi. E' Dio che si continua e noi siamo il Dio continuato. Allora la carità fraterna è l'essenza stessa della nostra divinizzazione mentre è, al tempo stesso, l'umanità del nostro essere umani. Ci appare vera– mente in che senso l'uomo, nella carità, è ir.nmagine di Dio. L'un1anità del– l'uomo fondamentalmente consiste nel rappresentare la continuazione della volontà di Dio, quindi l'umanità, in questo senso, è la divinità continuata. Ma perché esista un approfondimento di questi ten1i, ben oltre il punto cui è giunta la teologia legata all'istruzione del culto e non invece a quella del– l'esperienza di Dio, occorre che ci sia una qualità, nei cristiani, che lo desi:– deri. Ivia se dovessimo dire che cosa è la carità fraterna, se dovessimo sotto– porre all'analisi della ragione il semplice rn.ovimento della carità divina in noi, certo l'esposizione sarebbe meno semplice. Tuttavia abbiamo questo com– pito semplificato dal modello cui ci riferiamo cioè Cristo. 1Toi dobbiamo es– sere guidati a comprendere il volto della carità divina nella carità fraterna, perché la carità è una e semplice, noi siamo con1posti e plurimi. Noi possia– mo vagabondare per sentieri interrotti. Per quest è stata stabilita per noi la legge evangelica, cioè il Cristo com.e nostro modei.lo. La carità divina è in noi carità fraterna secondo la realtà totale del Cri– sto: il Cristo, che è la nostra sostanza, è anche la nostra vita. Ciò significa che non può esistere una struttura etica e pratica del cristianesir.ao che nor– matizzi in comportamenti quello che è la carità divina vissuta come carità fraterna; infatti, benché sia l'essenza dell'umanità e, come tale sia ciò che a noi è più spontaneo, tuttavia, in questo mondo, siamo separati dalla cono– scenza della nostra essenza, l'afferriamo solo neìle cose. IVI:acapire e descri– vere la carità fraterna dai comportamenti nelle cose, ci porterebbe facil– mente all'errore. Molte cose sono dette e fatte in nome della carità fraterna che non sono tali perché non possiamo razionalizzare la carità fraterna come non possiamo razionalizzare l'essenza umana. In realtà, noi sappiamo che l'uomo è carità perché è Dio che l'ha rivelato; non potremmo però dirlo da noi soli. Questo è il dran1ma dell'uo1no; essere separato dalla sua essenza, vivere in questa condizione di separato da ciò che egli è veramente. A causa di que– sto, qualunque sistema razionale che voglia includere il semplice movimento della carità divina che diviene carità fraterna, adeguarlo a sè, rappresenta indubbiamente un sentiero interrotto. Ripeto allora che, unico modello è il Cristo. Cristo è l'unione del divino e dell'umano, è il punto in cui l'unione e bibliotecaginobianco 7
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