Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 7 - maggio 1978

bibli sto e l'altro mondo, di una comunicazione mai interrotta. Quel che si fa pas– sare per straordinario è, in realtà, l'essenziale della realtà ecclesiale perché appunto il cristiano si attende di trovare, nel rp_omento in cui entra nell'altro mondo, non il nulla eterno o lo svanimento nel divino ma propriamente la vita pienificata. Questo è essenziale in tutta la concezione biblica che vede esattamente., a differenza di quella mitica, non il trasferimento del singolo nello spazio divino ma invece l'ingresso di Dio nello spazio terreno. Ed è que– sta differenza essenziale che è importante per capire, per togliere la sacra– lizzazione della vita, per indicare che tutta la realtà storica secolare è una realtà che ha un rapporto, che comunica col divino. Perciò, ripeto, l'Eucarestia è una forma attorno a cui tutto ruota; ogni atto è, allo stesso modo dell'Euca– restia, una comunicazione col Regno, ogni atto umano sta alla presenza di Dio. Per questo, come giustamente diceva Maritain, bisogna pensare che abi– tualmente un cristiano vada in Paradiso. Occorre superare il grosso limite, quello per cui all'interno della fede ha trovato posto l'idea del lutto pro– pria del mondo mitico, una concezione della morte come privazione di tutto; qui il cuìto eucaristico diventa strumentale al defunto, significa inter– vento, placazione, assistenza al defunto. La religione dei morti prende quasi il sopravvento sulla fede cristiana; questo processo però si è come arrestato dopo il Concilio anche se sopravvive il lutto che non è un fatto cristiano ma, in fondo, pagano. Un cristiano, invece, deve pensare che il giorno della morte è il giorno della gioia; ma di questo ancora non siamo capaci non tanto perché ciò non corrisponde ai sentimenti, quanto perché conserviamo radicato il lin– guaggio del mito (anche senza le sue motivazioni), il peso della cultura mitica che ci fa prigionieri del culto dei morti. 2. - La carità divina e la carità fraterna Qual'è il termine comune che unifica terra e cielo, la (,(città di Dio» e la «città dell'uomo»? La fede non ha dubbi nel riconoscerlo; è la carità divina che diventa carità fraterna. Dio ha tanto amato il mondo da donare per lui il suo Figlio unigenito. Questo è uno dei modi per indicare. le verità fondamen– tali della fede, quelle che unificano tutte le altre. L'amore di Dio fascia e con– tiene tutte le cose; il tempo e l'eschaton sono momenti della carità divina. Il termine unificante di eternità e di tempo, di «città di Dio» e di «città dell'uomo», è la carità divina stessa. Quando noi ci associamo al movimento della carità divina e la trasformiamo in carità fraterna, quando ci facciamo l'altro come Dio si è fatto uomo, così siamo in quella unità divina che è oltre il tempo ed oltre l'eschaton; è la divinità di Dio in cui ci muoviamo, siamo ed amiamo. Nella divinità di Dio il cristiano sta oltre la distinzione delle due città. Le due città sono due condizioni del cristiano, ma la sostanza di ambedue è la carità divina divenuta carità fraterna. La carità è oltre il tempo e l'eschaton, oltre la distinzione tra la «città di Dio» e la «città dell'uomo» perché è Dio stesso. Per questo l'atto di carità, compiuto sulla terra, appartiene alle divinità di Dio, è la divinizzazione in atto. La divinità di Dio è ciò che fonda l'unità della «città di Dio» e della «città dell'uomo» e fa sì che il vincolo dell'una con l'altra sia un vincolo di continuità: la continuità della carità divina divenuta carità fraterna, dunque pienezza all'amore umano. 6 ginobianco

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