Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 7 - maggio 1978

L'Eucarestia è la forma della vita cristiana, non esprime un rapporto ec– cezionale ma è, per dir così, la forma di tutti i rapporti: questo è il punto di continuità tra la «città di Dio» e la «città dell'uomo». Ciò che importa sot– tolineare è che la «città di Dio» è la continuazione semplice, oltre il nostro tempo, della «città dell'uomo»; tra la «città dell'uomo» e la «città di Dio» non c'è la mediazione del nulla e questo sarebbe se l'Eucarestia fosse s·imbolo o metafora, perché vi è uno scarto tra il simbolo e la cosa simboleggiata. In– vece qui vi è la continuità, perché vi è in sostanza il divino, è presente il Si– gnore della gloria. In questo senso si può parlare della «città di Dio» perché essa è la stessa cosa della «città dell'uomo» è una realtà incastrata sull'altra. Questo, del resto, appare subito dall'inizio del Vangelo. In Cristo si fa presente la «città di Dio», si manifesta la continuità tra la Sua umanità, la Sua carne, ed il Regno; ed è a questa continuità che sono invitati coloro che accettano il Regno, alla continuità tra la loro esperienza e l'altra riva, appunto, la «città di Dio». La presenza reale nell'Eucarestia indica, dunque, la continuità tra il convito terrestre e quello celeste. Sottolineamo abitualmente più la presenza del celeste sul terrestre (Gesù è qui sotto la specie del pane e del vino) ma meno il contrario, cioè la pre– senza del terrestre nel celeste. Infatti il primo movimento va da Dio all'uomo ed ha perciò l'uo,mo quale termine, il secondo movimento va dall'uomo a Dio ed ha per termine Dio. In sostanza, non solo l'unione con Dio è nel convito ma il convito è l'unione con Dio; quindi quello che qui sperimentiamo e fac– ciamo è in realtà la stessa cosa di quello che faremo e saremo nell'altra riva, al di là del tempo. Nella Eucarestia apprendiamo non solo qualcosa sulla presenza della «città di Dio» nella «città dell'uomo», della escatologia nel tempo ma anche sulla presenza del tempo nella escatologia. Apprendiamo cioè la continuità che unisce le due città. Proprio perché la presenza reale avviene 1n un banchetto, un banchetto che avviene nella « città di Dio». La terra è dunque il punto di partenza mediante cui possiamo compren– dere il cielo, l'universo storico è il termine di cui l'universo escatologico è il principio e viceversa. La vita cristiana consiste nel vivere la continuità tra la terra e il cielo, nel pensare l'esperienza terrena come comunicante con il ce– leste e l'esperienza celeste come comunicante con la terrena. Nella Eucarestia il convito celeste ed il convito terrestre si uniscono nel medesimo oggetto, il Dio incarnato e glorificato, il Signore della gloria, diviene il punto di unione tra ciò che è al di qua e al di là del velo del ternpo e dello spazio cosmici. Vorrei ancora sottolineare questa conclusione perché, in realtà, noi non pos– siamo vivere senza la «fantasia» della «città di Dio». E' vero che siamo abi– tuati ad una cultura demitizzante che, peraltro, ha il suo valore, tuttavia l'uomo non può vivere senza il linguaggio del mito e ancor meno separato dal linguaggio escatologico. L'uomo non può rinunciare a pensare l'al di là della morte perché altrimenti perderebbe la sua profonda inclinazione d'uomo a vincere la morte. Solo la parola cristiana annuncia che la morte è vinta ed è vinta esat– tamente perché l'eterno è già al di qua della morte. Perciò solo certa banalità ecclesiastica può chiamare straordinario e, dunque combatterlo, tutto quel mondo dell'apparizione e della visione che testimonia della continuità tra que- bibliotecaginobianco 5

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