Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 6 - dicembre 1977

stica nelle diverse chiese fa sì che esista la divisione tra loro e dalla stessa Chiesa cattolica. Proprio il riconoscere il carattere ecclesiale alle· varie comu– nità cristiane fonda la loro incomunicabilità. Un patrimonio comune nel campo delle specialità dottrinali, nell'esegesi ecc., ha preso in certo modo forma, là dove esiste una base pratica di •coope– razione scientifica, culturale operativa, dove il linguaggio comune ha ricevuto una certa elaborazione tra i cristiani delle varie chiese e anche tra le varie chiese come tali; ma proprio la soggezione al medesimo tipo di pressione nel– l'esistenza stessa delle chiese, proprio il carattere ecclesiale le divide. Oggi tuttavia le chiese vengono affrontate al loro cuore, la fede in Cristo, la fede nella Resurrezione, cosa che crea certamente dei termini comuni, tuttavia nort tocca il punto in cui la loro natura ecclesiale le divide, perché appunto natura ecclesiale delle altr.e chiese. La teologia non è in grado di dirimere come scien__,. za i conflitti intraecclesiali, perché essa in ultima analisi è una funzione eccle– siale, e perciò inevitabilmente pensata a partire dal regime di divisione in cui sono le chiese. Nè le autorità ecclesiali possono risolvere dei problemi che esse hanno ricevuto come parte della loro tradizione fon dante, come per esem– pio la confessione di Augsburg per i protestanti, e quindi è anch'esso dato di tradizione: tutto ciò significa appunto che le autorità ecclesiali sono tali pro– prio in forza delle tradizioni ricevute; principio formalizzato, ripeto, dalla Chie– sa Cattolica, e non dalle comunità protestanti, e però ugualmente vissuto. Questo fatto fa sì che la gerarchia non possa andare oltre; la gerarchia presbiteriale delle comunità protesanti e quella episcopale della chiesa orto– dossa non può che arrestarsi di fronte alla tradizione che le fonda come auto– rità. Appunto perché nella Chiesa, e quindi in tutte le ecclesiole, sia la teo– logia che la gerarchia sono normate, cioè ricevono la norma dalle Scritture e dalla Tradizione, e non sono normanti: nè l'una nè· l'altra hanno la potenza di risolvère la divisione delle chiese. Tutto questo ha un significato profondò perché, nell'esecuzione del Concilio Vaticano II, mentre vi è il riconoscimento delle ecclesialità di tutte le comunità cristiane, quasi inevitabilmente, proprio questo fatto, crea una non possibile mediazione; ciò che è al fondo del decreto sull'Ecumenismo, cioè il concetto di piena partecipazione, per cui la Chiesa ri– conosce l'ecclesialità delle comunità separate; è proprio questo modo che in sostanza da solo indica la non immediata possibilità di soluzione del problema. Tuttavia a questo punto possiamo meglio valutare l'ecumenismo che nasce dal Concilio Vaticano II. Si può dire che l'ecumenismo è l'approccio del problema della Chiesa vocazionalmente una, escatologicamente una, che però vive stori– camente questa sua unità nella mutua separazione; in realtà è proprio la fe– deltà alla medesima essenza della Chiesa fondata sulla permanenza del « de– positu:tn fidei », sulla Scrittura e sulla tradizione, a rendere inconciliabili le sin– gole chiese e non mediabili le differenze tra di esse. Ciò dunque mostra che mentre esiste una Chiesa vocazionalmente una, escatologicamente una, •misti– camente una, nella vita unica nascosta con Cristo in Dio, essa nella storia esiste in questa forma frammentata. Tale divisione è veramente il segno della storia -sulla Chiesa. Il Concilio Vaticano secondo prende coscienza di questa realtà che può essere pensata come escatologicamente una, sicché le differenze fra la Chiesa cattolica e le altre chiese possono essere espresse secondo un lin– guaggio di tipo omogeneo cioè pienezza, partecipazione. Si potrebbe obiettare: non è questa la conferma di tutte le separazioni, bibliotecaginobianco 7

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