Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 6 - dicembre 1977

formulazione della sua presenza nel saeculum e nella società civile (i due ter– mini qui sono sinonimi). Non si tratta più di animare, sorreggere il conflitto tra Chiesa e Stato, ma di far emergere, nella pace, nella potenza della pace, che è lo Spirito Santo, la libertà all'interno del potere, trarre l'immagine di Dio, dall'uomo, altrimenti soggetto alla forza deformante dei poteri. In ciò il cristiano stesso si trasforma, a imitazione di Cristo, perché facendo emergere il volto divino nella storia compie il suo compito di membro del Corpo del Si– gnore, incorporato alla missione divinazzante del Verbo Incarnato. Qui ci troviamo di fronte alle difficoltà notate nelle questioni dell'ecume– nismo; non è possibile cioè risolvere tale problema soltanto in chiave teolo– gica. La relazione del cristiano con le realtà meramente storiche e civili non può essere posta come semplice giudizio fondato sulla scienza teologica e rego– lato univocamente dalla gerarchia. L'incidenza della gerarchia è infatti mag– giore sul piano dottrinale, massima sul piano dogmatico, ma inevitabilmente minore sul piano pratico e prudenziale. Appare anche qui un problema nuovo, quello della ortoprassi, della prassi del cristiano; questa la potremo definire come lo spazio del discernimento del cristiano che riguarda il « che fare» e non, si badi bene, che « cosa è la legge », che « cosa è giusto o ingiusto », ma ripeto, il che fare nella sua dimensione più reale, concreta, di fronte ai pro– blemi di varia natura. Possiamo indicarne alcuni di carattere più immediato, dall'ecologia alla bomba al neutrone, all'ordinamento dei poteri politici, ecc. Qui appunto si esercita il discernimento del cristiano, che non è più un discernimento teo– logico. Credo che non si debba più insistere nel dire che la dottrina sociale cristiana, come la si pensava dagli inizi del secolo sino agli anni quaranta, come una scienza, una sociologia, non è che l'ultimo processo della decadenza della neoscolastica. Tuttavia il problema rimane; come discernere la realtà storica? Che si deve fare? Su questo problema il dogma e la teologia come tali sono muti. Ciò che qui è in gioco è l'incidenza della storia nella Chiesa e quindi con più forza compare il problema del discernimento e in esso dell'autonomia della prassi, nel senso cioè che non possiamo dedurre da un principio teologico un compor– tamento pratico. Dobbiamo a questo punto parlare di teologia della prassi, come distinta dalla teologia morale? O dobbiamo rinunciare al termine di teo– logia e parlare di prassi spirituale cristiana? Personalmente sono favorevole ad usare il termine di spiritualità della prassi, proprio perché con esso si fa riferimento ai doni, ai carismi dello Spirito Santo che ne sono il principio. Di qui deriva che il segno ecclesiale sulla storia può essere posto fonda– mentalmente solo mediante i doni e i carismi dello Spirito, cioè mediante l'ispi– razione. Per i cristiani, dunque, proprio ciò che è più secolare massimamente diviene soggetto al governo dello Spirito Santo. Nella storia passata della nostra Società c'è un famoso articolo della Regola che ci venne più volte contestato: l'articolo che diceva di non agire senza aver consultato lo Spirito Santo. Su questo punto l'ironia è stata facile, visto che esisteva una Chiesa che pensava di avere nella teologia la chiave di soluzione per tutti i problemi possibili. Ma ora, salvo una pazzesca operazione alla don Chisciotte, questa operazione è solo un'illusione alienante. Ora si deve dire che diviene fondamentalmente oggetto di sola ispirazione proprio ciò che è massi- biblio 10 ginobianco

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