Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 5 - giugno 1977
nevano come condizione della loro efficacia viene meno con il venir meno della figura classica della vita religiosa. Ma solo il venir meno della vita religiosa rende possibile il venir meno di quella figura aberrante, che è il « contrario » della vita religiosa, e che è il « laico ». Il « laico » è il cristiano a mezzo serv1z10, il cristiano prestato al secolo, anche se nella forma pomposa della consacratio mundi: è il « braccio secolare », la dimensione operativa la cui sostanza interiore, la «mente» è collocata al– trove (nel sacerdote e nel religioso). Non è un cristiano perfetto, nè un cristia– no con autorità: la Chiesa lo accetta, gli offre la salvezza, ma non ne ordina la vita. Nella Chiesa egli può solo ascoltare. È un consumatore di ecclesialità, non un attore, un partecipe. Il laico è difficilmente inseribile nella Chiesa, se non come braccio seco– lare; nelle forme più diverse, le formule laicali che evadono la forma degli istituti secolari cadono in politica, esattamente perché non esiste per il laico uno spazio propriamente ecclesiale, e non è nemmeno pensato. L'esempio re– cente di C.L. è emblematico: la via politica era anche la via più facile rispetto alla gerarchia, anche se C.L. non era nata immediatamente come un pre-par– tito (funziona tutt'ora come tale, anche se rifiuta di riconoscervisi). Come si vede, tutte le istituzioni create per accogliere i laici nell'impegno ecclesiale (vita religiosa, istituti secolari, movimenti giovanili, ecc.), tutti sono posti in crisi radicale. Non esiste dunque più nessun modello istituzionale per essere cristiano. Nemmeno per il sacerdote. Qui la crisi è massima. In genere si seguono due linee opposte. La prima è quella di adottare un modo di vita secolare (abbandono dell'abito, diminuzione del ruolo eucaristico del sacerdote, movimento per l'abbandono del celibato, crescenti riduzioni allo stato laicale, ecc.). L'altra è quella di conservare la distinzione sacerdotale (ma cultural– mente come fondarla?). Inoltre la scissione tra dogma e teologia è un dato di fatto: si è teologi cattolici per propria autoqualificazione, con una ampia li– bertà rispetto al dogma. La crisi del rapporto dogma/teologia pone 1n crisi radicale l'identità sa– cerdotale che sul dogma si fonda. Ma accanto ad essa sorge un'altra crisi, cioè quella del potere canonico della Chiesa: le sanzioni spirituali perdono la loro efficacia di fronte alla nuo– va teologia della coscienza. Inoltre i conflitti ecclesiastici ricevono immedia– tamente un supporto civile, dai mezzi della cultura di massa. Questo feno– meno ha avuto prima una certa impostazione di sinistra (la stampa ha ap– poggiato la teologia critica del dogma, p. es. nel caso di H. Kiing), ma poi ha avuto il suo esito più ampio nel caso della contestazione tradizionalista del vescovo Lefèbvre. In tutti i casi il potere canonico è stato contestato: la occupazione di una 8 biblio~~dginobianco
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