Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 5 - giugno 1977

gesti. Ecco, non dico che dell'Azione Cattolica tutto debba andare perdu– to; però bisogna aver chiaro che il fine non è riportare la situazione al 1930, cioè ad una realtà che veda i vescovi e i preti comandare e tutti gli altri ubbidire e per di più senza i radicali... Questo è assurdo. BEPPINO RIGOTTI: È vero che tutte queste comunità nascono come cristiane, ma sembra che il loro sco– po principale sia di natura politica. GIANNI BAGET: No, in esse il linguaggio politico manifesta pur sempre una esigenza cristiana; e quello politico appunto è l'unico lin– guaggio di cui dispongono come quel– lo veramente alternativo al vecchio linguaggio. Abbiamo nella Chiesa la coesisten– za di tutte le concezioni sorte negli anni '30, '40, '50, '60. Bisogna convi– vere con tutte queste: l'importanza però è capire qual è il fine, e il fine non è la restaurazione di un ordine in cui la gerarchia controlla la so– cietà. Abbiamo tutti credo, non solo la nostra Società, ma in fondo i cri– stiani, il presagio, il senso di un fine diverso. Quello che ci manca è ap– punto il linguaggio. Se avessimo un linguaggio comune sarebbe tutto fatto. ANNA LEONARDI: Sono d'accor– do nel ritenere che la crisi delle isti– tuzioni ecclesiastiche in quanto ope– ra dello Spirito tenda a far perdere alla Chiesa aspetti pagani, però c'è un punto che non mi è chiaro, ed è questo: è la crisi del dogma, e di tutto ciò che rappresenta, nei suoi aspetti dogmatici, il patrimonio della nostra fede. A mio parere c'è una realtà istituzionale che deve sempre restare, quella appunto che garanti– sce questo patrimonio. Questa istitu– zione si esprime praticamente in Pie– tro; Gesù diede a Pietro questo pri- 20 biblio v ginobianco mato e gli disse di confermare nella fede i fratelli. C'è, dunque, questo punto di unità, questa roccia, che re– sta e deve sempre restare. Bisogne– rebbe chiarire cosa Gesù intendesse con la parola « roccia ». Nella tradi– zione cristiana « roccia » è qualcosa di incrollabile, una espressione di unità. Il nostro essere Chiesa si fon– da su questa unità della Fede che è garantita da Pietro in quanto « roc– cia ». Così accanto alla figura cari– smatica deve rimanere una entità istituzionale, quale simbolo della ve– ra unità spirituale. Quest'ultima è indispensabile di fronte all'eresia. Su questo punto la nostra religione si è sempre differenziata dalle altre, in quanto fondandosi l'uomo su una na– tura razionale, occorre una certezza e una unità di insegnamento. Penso al catechismo e alla grande impor– tanza che esso ha per i bambini; ho di fronte l'esempio di Maria Goretti che aveva 6 anni quando imparava il catechismo da sua madre e quel- 1' insegnamento, ancorché povero, rappresentava per lei la sicura via della Grazia. GIANNI BAGET: In sostanza la tua domanda è questa: che cosa ri– mane, in una situazionoe di crisi, dell' auctoritas della gerarchia? Es– sendo stabilito che questa auctoritas ha un ruolo determinante nello stabi– lire la dottrina come dogma, in real– tà, è proprio questa auctoritas che rimane. La dichiarazione di eresia è una sanzione canonica data per la salvezza di colui che è condannato; è un provvedimento disciplinare di natura spirituale. Nella dichiarazione dogmatica ci sono due elementi: l' affermazione dottrinale e la pena canonica. Ora la pena canonica serve a testimoniare l'importanza della dottrina ma non è la medesima cosa. Mi spiego: si po– trebbe dire che la Chiesa necessaria– mente crede a determinate verità

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