Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 4 - giugno 1976
coltivato e uno selvaggio: quello coltivato è una pLantatio Dei ed è Israele. Il tema è probabilmente suggerito dal riferimento al «resto», che in Isaia 1, 9 è indicato come «seme>; in Isaia 6, 13 ciò che rimane dopo le distruzioni di Yahvé è un «ceppo>. In Romani, il ceppo è sostituito dalla radice: mentre in Isaia si parla di una quercia o di un terebinto, Paolo, forse in riferimento ai « due olivi> di Zaccaria 4, parla di un olivo e della sua radice. Il tema del– l'olivo è in Zaccaria cultuale, perché i due ulivi alimentano le lampade di un candelabro e rappresentano due « unti >. In ogni caso, l'olivo coltivato è Israele ma inteso come la comunità salvifica totale: in essa sono piantati gli innesti dell'olivo selvatico, da essa cadono e sono reinnestati i giudei. E così « tutto Israele sarà salvato > indica la comunità perfetta fatta di giudei e di gentili. Perché anche i gentili fanno parte d'Israele spirituale. Ma parlando di « tutto Israele», un termine che nel Vecchio Testamento indica la totalità del popolo ebraico, Paolo pensa anche agli israeliti caduti. È anzi in riferimento ad essi che Paolo ha costruito tutto il suo discorso. È della « caduta > degli Israeliti che Paolo ha voluto dare una interpreta– zione non etica ma teologica. La loro caduta è dunque, in questo senso, parte del piano divino e Dio ha operato in essa e attraverso di essa. Pur non aven– dola determinata, l'ha però divinamente causata. Anche gli Israeliti caduti, i « giudei increduli», fanno parte del disegno di Dio. Paolo è in grado di offrire una rispbsta rigorosamente teologica alla domanda rigorosamente teologica che aveva formulato. La parola di Dio non è vana perché « Dio ha chiuso tutto il mondo nella disobbedienza per usare verso tutti la sua misericordia» (11, 32). Paolo ha qui veramente trasceso ogni limite; egli è ora innanzi alla « profon– dità della ricchezza, della saggezza e della scienza di Dio », dinanzi ai suoi « giudizi insondabili> (11, 33). Alla dialettica peccato-giustizia, che domina il Vecchio Testamento, si sostituisce la dialettica peccato-misericordia, che è rivelata in Cristo, nel sacrificio di Lui. Nel Figlio crocifisso e dato per noi, Dio si è riconciliato il mondo e il peccato è così ovunque fronteggiato solo dalla misericordia di Dio in Cristo. Egli può cogliere tutte le conseguenze del principio che ha svolto in tutta la lettera ai Romani e cioè che « Cristo è morto per gli empi nel tempo fis– sato» (5, 6). Il dolore umano non è dunque più la sanzione della giustizia divina contro il peccato, ma l'associazione invece alla passione di Cristo, che è la via della gloria divina: la sofferenza è il segno della divinità. Israele, che ha portato al mondo la rivelazione della diversità di Dio dal mondo, e quindi mostrato il peccato come la relazione concreta dell'uomo con Dio, diviene, con la sua caduta, il testimone che la lontananza da Dio è l'abisso che attira la misericordia. Testimone dell'impossibilità della vicinanza, il popolo di « dura cervice» diviene il testimone della fecondità della lontananza. Il mutamento di segno e di senso che è in queste due condizioni è dato dal sacrificio reden– tore del Verbo Incarnato, dal Dio croci.fisso, che ha portato il peccato del mon– do. La soluzione del problema del male, del peccato e del dolore, non può che 7 bibliotecaginobianco
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