Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 2 - aprile 1975

zato, «pulito» neUa solitudine del ritorno alle origini) e poi accusare iL potere che fa parte della storia? Perché far tutto questo e poi dire che per essere pre– senti storicamente bisogna avere soldi, stampa, televisione? E poi lanciarsi, il che è fin troppo facile, sulla impotenza dei potenti; e chiudere dicendo una verità che era già tutta nell'uomo nuovo, che lotta col vecchio, e che non rifiuta il potere, accetta anche quello se la volontà di Dio ve lo porta, che « il vero po– tere è la libertà». Tutto questo può rappresentare una utile ripulitura da certe « americanate para-sociologiche » che il potere è il mezzo, che il medium è il messaggio e via dicendo, il che è come dire che l'uomo è la voce; certamente vero ma è anche cervello, gambe, e altre cose, e tutto insieme fa l'uomo. Una voce che risuona o è una manifestazione dello spirito (rara), o è stregoneria, spesso da quattro soldi, non è mai un uomo. Non credo proprio che Baget voglia abbassarsi a considerare simili fa volette da « persuasori occulti ». Allora resta solo il punto centrale: la « vita, tutta la vita, e quindi anche la vita politica quella che inerisce al potere, deve essere vissuta nel rovescia– mento dei valori che il Cristianesimo ha praticato, con spirito di penitenza, o di servizio, il che è lo stesso. Questo è l'atteggiamento che serve al cristiano per essere lievito: sapere che la lotta è lunga, che egli è chiamato a praticare l'unica « rivoluzione per– manente » possibile ( e sarebbe qui interessante esaminare gli sbocchi accen– nati, forse balenanti, in certe posizioni dell'ultimo Trotski, ma sarebbe un di– scorso lungo e forse deviante), che questa rivoluzione si basa, pena l'inaridi– mento, sull'atteggiamento permanentemente « fuori » dalle cose in cui egli si muove (il distacco di cui parla Baget), insieme ai suoi fratelli sotto la guida della Chiesa. Ma con questo egli può e deve, se vi si sente chiamato, gestire la politica e il potere. Come fa il cristiano a sapere di essere chiamato a far questo? Credo che sia molto semplice spiegarlo, perché per me è vita «abbastanza» vissuta. Il cristiano sa di essere chiamato alla politica e al po– tere quando si sente attratto « vitalisticamente » in modo irresistibile direi, dal fenomeno, dall'economia, dalla lotta, dalle brutture, dalle contraddizioni, dalle contaminazioni, insomma dal muoversi della scena storica: quando insomma ogni « res gesta» è per lui motivo di analisi; e quando nel contempo sconta che tutto questo marasma di contraddizioni vive in lui e intorno a lui nelle cose che contribuisce poco o tanto, a creare; e quando nello stesso tempo tenta e prova, accettando gli insuccessi, anzi scontandoli pri1na, di riportare tutto alla sua scala di valori, che sta fuori e sopra la storia. Esiste, per controllare questa bivalenza a livello della nostra coscienza un autore-spia, che, accettato, rivela nel soggetto la coesistenza del giudizio metastorico con la passione sto– rica, che è anche politica, e rifiutato, rivela invece nel soggetto l'essere ormai preso da una concezione esclusivamente mondana della storia. Questo autore– spia è Toynbee; al di là della giustezza o della fallacia della sua analisi, c'è infatti nella sua storia comparata delle civiltà, il senso permanente e profondo di un significato « ultra » del fenomeno e del fatto storico: « sic vos non vobis bibliotecaginobianco 33

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